mercoledì 31 agosto 2016

Johnny Come Lately

Nel 1986 Steve Earle incontra i Pogues con cui deciderà di collaborare per un brano del suo disco “Copperhead Road”. Johnny Come Lately, termine che può essere tradotto come "l’ultimo arrivato", è una canzone che descrive il ritorno a casa dei veterani di guerra. In essa vengono comparate le esperienze dei soldati che prestarono servizio durante la seconda guerra mondiale con quelle dei combattenti in Vietnam, descrivendo i contrasti di una diversa accoglienza al rientro. La canzone mi dà anche modo di tradurre un racconto in cui lo stesso Steve Earle descrive la sua esperienza con i Pogues:

"Incontrai i Pogues a Londra, negli studios EMI di Abbey Road, nel 1986, mentre stavano registrando i demo per quello che sarebbe diventato “If I should fall...”. Stavano cercando di mollare il loro contratto discografico ai tempi e avevano riservato lo studio del terzo piano, “l’attico”, sotto lo pseudo-pseudonimo di “terry woods quartet”...
era tardi, ben dopo mezzanotte, e il viaggio fino a st. John’s Wood attraverso un’impossibile – e proverbiale - nebbia inglese assunse l’aria di una missione segreta in un film di spionaggio in bianco e nero, molto sussurrato e deliziosamente clandestino.
Mi presentai alla guardia in uniforme sussurrando “Steve Earle, sono qui per il Terry Woods Quartet nell’attico”. L’anziana guardia in uniforme mi guardò come fossi un idiota del cazzo.
“Ah, i Pogues? in cima alle scale gira a destra, non puoi sbagliare, c’è mezza Londra lassù, cazzo.”
Per i due anni successivi ci siamo scontrati nel mezzo della notte da una parte all’altra dello stagno (oceano). Beh okay, a volte era qualcosa di un po’ più duro di uno scontro. Quando registrammo “Johnny come lately” insieme (per il mio disco “Copperhead Road”), “if i should fall...” era uscito e i ragazzi stavano suonando una serie di sei serate nella settimana di San Patrizio al vecchio club Town and Country a Kentish Town. Fu una settimana magica. Kirsty MacColl era là a cantare “fairytale of new york” con Shane ogni notte e i bis comprendevano “Message to rudy” con la sezione fiati degli specials e “I Fought the Law” con Joe Strummer in persona a guidare la Band. Io uscii a cantare “Johnny” con il gruppo ognuna delle prime tre serate e poi, alla mattina del quarto giorno, dopo aver lavorato sul pezzo di fronte a 6000 persone, registrammo la traccia al Livingstone Studio. Rimanemmo in piedi tutta la notte quella notte (come ogni altra notte) e il mattino successivo Spider mi buttò in un taxi per Heathrow e mi ritrovai in volo verso gli States. Quella notte era il gran finale di San Patrizio al Town and Country. In qualche modo, nella confusione, nessuno si prese la briga di dire a Terry Woods, che aveva insistito per presentarmi ogni sera, che non ero più nel Regno Unito.
“Vi chiedo di dare il benvenuto” disse roco “a un nostro caro amico dal grande stato del Texas – STEVE EARLE!”
E non successe un cazzo di niente dato che ero già a metà strada sull’atlantico smaltendo una sbornia che aveva registrato il grado 7.4 della scala Richter. Ci misi circa una settimana a riprendermi e sono sicuro che i danni sostenuti quella settimana furono strutturali e permanenti.
Ma ne valeva la pena. Per quattro minuti per quattro serate consecutive nella primavera del 1987 sono stato un Pogue."

Steve Earle
Fairview, Tennessee, maggio 2004



Ultimo Arrivato

Sono un Americano, ragazzi, ho fatto un sacco di strada
Nato e cresciuto negli USA
Quindi avvicinatevi e ascoltate, ho qualcosa da dire
Ragazzi, pago questo giro
Ci è voluto un pochino, ma siamo dentro a questa lotta
Non si andrà a casa finché non avremo fatto quel che è giusto
Stanotte berremo fino a prosciugare Camden Town
Anche se dovrò spendere fino all’ultima sterlina
La prima volta che arrivai a Londra pioveva forte
Incontrai una ragazzina a una cucina da campo
Scrissi il suo nome con la vernice sul muso del mio aereo
Ancora sei missioni e ho finito
Le chiesi se potevo stare e mi disse potresti
Poi uscì fuori il guardiano gridando “spegnete le luci”
Morte pioveva dalla notte di Londra
Facemmo l’amore fino all’alba
Ma quando l’ultimo arrivato torna a casa marciando
Col petto colmo di medaglie e un finanziamento per militari
Lo aspetteranno alla stazione laggiù a San Antone
Quando Johnny tornerà marciando

Il mio P-47 è una buona macchina
E si è fatta un giro tornando l’ultima volta che ho attraversato la Manica
Stavo pensando alla mia bambina mentre la lasciavo andare a tutta birra
Mi ha sempre fatto andare avanti finora
E possono spedirmi dovunque in questo immenso mondo
Non ho mai trovato niente come la mia ragazza del North End
La porterò a casa con me un giorno, signore
Non appena vinceremo questa guerra

Ma quando l’ultimo arrivato torna a casa marciando
Col petto colmo di medaglie e un finanziamento per militari
Lo aspetteranno alla stazione laggiù a San Antone
Quando Johnny tornerà marciando

Ora mio nonno cantava questa canzone
Mi raccontava di Londra e di quando iniziò la guerra lampo
Di come sposò la nonna e la riportò a casa
Un eroe per tutta la sua terra

Ora son qui fermo su una pista a San Diego
Due Cuori Porpora e mi muovo un po’ lento
Non c’è nessuno qui, forse nessuno sa
Di un posto chiamato Vietnam

Ma quando l’ultimo arrivato torna a casa marciando
Col petto colmo di medaglie e un finanziamento per militari
Lo aspetteranno alla stazione laggiù a San Antone
Quando Johnny tornerà marciando


giovedì 18 agosto 2016

Strange Boat

Prima di una breve pausa estiva rendo omaggio alla canzone che dona il titolo al blog: la strana barca di cui cantavano The Waterboys su “Fisherman’s Blues”. Una musica semplice e un testo semplice: straordinariamente efficaci.


Stiamo veleggiando su una strana barca
Diretti verso una strana costa
Navighiamo su una strana barca
Diretti verso una strana costa
Portando il carico più strano
Che mai sia stato issato a bordo

Stiamo veleggiando su uno strano mare
Spinti da uno strano vento
Navigando su uno strano mare
Spinti da uno strano vento
Trasportando l’equipaggio più strano
Che mai abbia peccato

Viaggiamo su uno strano carro
Seguendo una strana stella
Arrampicandoci sulla scaletta più strana
Su cui mai ci si potesse arrampicare

Viviamo in un tempo strano
Lavorando per un obbiettivo strano
Viviamo in un tempo strano
Lavorando per un obbiettivo strano
Stiamo tramutando carne e ossa
In anima


mercoledì 10 agosto 2016

Memphis, Tennessee

Chuck Berry viene giustamente ricordato per le sue musiche, i fraseggi di chitarra, le qualità di intrattenitore sul palco. Tutti elementi fondamentali nel creare e definire un genere, il rock and roll, di cui è indiscutibilmente uno dei massimi esponenti, se non il più importante. Ma i suoi testi sono spesso dei piccoli capolavori in cui riesce a raccontare brevemente storie particolari, e non sono da meno rispetto a quelli dei migliori songwriter.

Il testo di questa canzone si sviluppa attraverso una conversazione telefonica nella quale il protagonista del brano chiama il centralino cercando di mettersi in contatto con una certa "Marie" che gli aveva telefonato mentre lui era assente. Nella terza strofa viene rivelato che chi sta effettuando la telefonata sta soffrendo per la ragazza, e dice che sono stati separati perché la mamma non era d'accordo. A questo punto si potrebbe credere che il protagonista con la ragazza abbia una relazione, ostacolata dalla madre di lei. Inaspettatamente, però, alla fine ci viene rivelato che Marie ha solo 6 anni, e che chi parla e racconta la storia è il padre della bambina.



Pronto? Interurbane?, mi passi Memphis Tennessee
Mi aiuti a rintracciare chi ha cercato di contattarmi
Non ha potuto lasciare il suo numero, ma so chi ha chiamato
Perché mio zio ha preso la chiamata e l’ha appuntata sul muro

Mi aiuti, centralino, mi metta in contatto con la mia Marie
è l’unica che potrebbe cercarmi qui da Memphis Tennessee
La sua casa è nella parte sud, su in alto su un crinale
Proprio a mezzo miglio dal Mississippi Bridge

Mi aiuti, signorina, più di questo non so dirle
Solo che mi manca, come mi manca quanto ci divertivamo
Ma ci hanno separati, perché sua mamma non era d’accordo
E ha strappato via la gioia dalla nostra casa in Memphis Tennessee

L’ultima volta che vidi Marie mi stava salutando con la mano
Torna in fretta, dicevano le lacrime scorrendo dall’occhio giù sulla guancia
Marie ha solo sei anni, signorina la prego
Cerchi di mettermi in contatto con lei a Memphis Tennessee

mercoledì 3 agosto 2016

Dying On The Vine

Dying On The Vine è una canzone tratta dall’album “Artificial Intelligence” di John Cale, anche se la versione che preferisco è quella in concerto, registrata sullo scarno “Fragments Of A Rainy Season”. Questa volta una traduzione non rigorosamente letterale, ma che cerca di mantenere la metrica e le rime del testo originale, una specie di cover in italiano, come si usava negli anni sessanta. Ma se allora spesso il senso del testo veniva stravolto (vedi ad esempio l’orrenda “Ragazzo solo, ragazza sola” imbarazzante versione italiana di Space Oddity) qui ho comunque rispettato il più possibile l’originale.




Non la sopporto più questa caccia agli spettri
Vorrei qualcuno che mi desse un perché
Ho posato la mia spada, è tua se vuoi
E ho scritto a casa, non pensate a me

Sono stato giù con te ad Acapulco
Barattando vestiti per del vino ambrato
Con un odore di vecchia ingioiellata, addosso
O di un William Burroughs che inscena il tempo andato

Impossibile dormire, in mezzo al chiacchierio
Troppe feste al sole ma poi quei
Ligi addetti mi han concesso tutti i visti
E se non fossi così vile, scapperei

Vediamoci dove non si spara più
In quel quartiere, dove non ci sono guai
Sì, porta pure gli amici che sai tu
È bello averli intorno, non si sa mai

Lo sai pensavo (anche) a mia madre
Pensavo a ciò che ancora ho
Vivevo come fossi stato un divo
Ma morivo, sul nascere, ora lo so