giovedì 22 giugno 2017

Lost In The Stars

Scritta per il musical dallo stesso titolo che vedeva proseguire la collaborazione di Kurt Weill con il paroliere Maxwell Anderson, la canzone è stata più volte interpretata da vari artisti. Composto nel secondo dopoguerra il testo potrebbe anche essere letto come un riferimento al destino degli ebrei in Europa, un piccolo popolo perduto e abbandonato dal suo Dio.
Questa versione, tratta dal film omonimo dedicato alla musica di Weill, è eseguita da Elvis Costello con il Brodsky Quartet.



Prima che il Signore Dio creasse il Mare e la Terra
Teneva nel palmo della mano tutte le stelle
Che scorrevano attraverso le sue dita come granelli di sabbia
E una piccola stella cadde da sola.

E il Signore Dio si gettò in cerca della piccola stella scura
Attraverso il vasto aere notturno, nel vento laggiù
Affermando e promettendo
Che avrebbe avuto un occhio di riguardo
Affinché non si perdesse di nuovo

Ora l’uomo non tema se le stelle si affievoliscono
E le nuvole le coprono e le oscurano
Fin tanto che il Signore Dio veglia su di lui
Controllando come tutto scorre

Ma io ho camminato, attraversando notti e giorni
Fino ad avere gli occhi stanchi e i capelli bianchi
E a volte mi sembra che forse Dio sia andato via
Dimenticando la promessa che lo udimmo fare
E ci ritroviamo qui fuori persi nelle stelle.
Stelle piccole, stelle grandi
Svolazzanti nella notte
E siamo qui, perduti nelle stelle




venerdì 16 giugno 2017

A Man Is In Love


Come già in "I'm Talking About You", la dichiarazione d’amore anche qui viene affrontata alla lontana, con un espediente, ma dove nella prima si distoglieva l'attenzione verso una donna diversa dalla destinataria del messaggio, qui invece il protagonista si riferisce all’innamorato in terza persona, come se chi parla fosse semplicemente il latore e non il soggetto. L’idea di scrivere il testo in terza persona fino alla fine è un modo semplice ma efficace per ottenere un verso ricorrente di impatto: “A man is in love”. La canzone cresce mano a mano anche nella strumentazione, senza un vero e proprio ritornello, fino alla rivelazione del verso finale, che sfocia in una gioiosa e liberatoria giga.



Un uomo è innamorato, come lo so?
È venuto a camminare con me, così dicendomi
In una canzone che cantava, e in tal modo ho saputo
Un uomo è innamorato di te

Un uomo è innamorato, come l’ho sentito?
L’ho ascoltato parlare troppo, ogni volta che eri vicina
Sussurrava il tuo nome, quando aveva gli occhi chiusi
Un uomo è innamorato e lo sa

Un uomo è innamorato, come l’ho indovinato?
Me ne sono reso conto mentre ti guardava vestirti
Ti darebbe tutto sé stesso, se tu solo accettassi
Un uomo è innamorato, e sono io

giovedì 15 giugno 2017

I'm Talking About You

In questa che è una delle sue canzoni meno note, Chuck Berry ricorre a un antico espediente retorico, quello di fare riferimento a un’altra - ipotetica - donna per parlare di quella verso la quale sono diretti in realtà i sentimenti dell’innamorato, come già nella letteratura cortese e nella poetica dei trovatori, in cui il poeta fingeva di amare un’altra dama (“la donna dello schermo”) a copertura del suo vero amore, che doveva rimanere per qualche tempo segreto fino al momento in cui egli, forse, avrebbe potuto rivelarsi. Qui però siamo ormai in tempi moderni, e il trucco dura solo fino alla fine della strofa, perché già nel ritornello l’autore di dichiara apertamente.



Lascia che ti parli di una ragazza che conosco
L’ho incontrata che camminava in una via dei quartieri alti
È così graziosa, sai; vorrei fosse mia
Incontrarla mi scombussola ogni volta

Sto parlando di te
Nessun’altro che te
Sì, intendo proprio te
Sto semplicemente cercando di farti arrivare un messaggio

Lascia che ti parli di una ragazza che conosco
Te lo dico: è proprio bella
Ha così tanti pregi e un tal bel piglio
Si meriterebbe di essere da qualche parte a Hollywood

Sto parlando di te
Nessun’altro che te
Avanti dammi uno spunto
Cosicché io possa farti arrivare un messaggio

Lascia che ti parli di una ragazza che conosco
È seduta proprio qui al mio fianco
Incantevole davvero, è per questo che ho chiesto se
Mi prometterebbe di essere la mia sposa un giorno

Sto parlando di te
Intendo proprio te
Nessun altro che te

Andiamo, fai passare il mio messaggio

giovedì 1 giugno 2017

Burn The Flames

Dall’album “Don’t Slander Me” (1986), disco solista di Roky Erickson, membro fondatore dei 13th Floor Elevators - antesignani del rock psichedelico - e una delle prime vittime dell’uso smodato di acido lisergico (sempre che esista un uso moderato). Canzone dal testo evocativo e allucinato, è stata più volte rivisitata, con esiti particolarmente riusciti, in particolare da artisti in grado di coglierne appieno lo spirito visionario, come Mark Lanegan e Thin White Rope, le cui versioni meritano sicuramente un ascolto.



Siedo qui,
Un vampire, al mio pianoforte
Le fiamme ardono, più alte, abbaglianti
E gli occhi che fissano
Attraverso l’oscurità
Sebbene non abbiano forma
Non è il caso di allarmarsi

Allora brucino le fiamme
Sempre più alte
Ardano le fiamme
Mai si estinguano

Siedo qui,
Uno scheletro al mio organo
Le candele nel mio candelabro
Bruciano in modo infernale, insopportabilmente chiare

E le risate echeggiano senza fine
Attraverso la casa infestata
Un poco di spirito natalizio
Spirito spettrale inquietante cadaverico
Tutte le creature sono agitate
Persino il topo

Allora brucino le fiamme
Sempre più alte, più alte, più alte
Ardano le fiamme
Mai si estinguano

Siedo qui, me stesso ai miei strumenti
Siedono qui ai miei strumenti
E la musica colma e gremisce
Terrorizza, atterrisce, spaventa per sempre
I figli della notte
Che musica facciamo

Allora brucino le fiamme
Sempre più alte e ancora più alte
Ardano le fiamme
Mai si estinguano