In tedesco "übersetzen" è tradurre, ma anche traghettare; questa "strana barca" vuole quindi trasportare parole da una sponda all'altra di lingue diverse, sperando che non risentano troppo della traversata.
"I Walk on Guilded Splinters" (a volte"I Walk on Gilded Splinters" o "Walk on Gilded Splinters")
è una canzone scritta da Mac Rebennack, sotto lo pseudonimo di Dr. John Creaux.
Fece la sua prima comparsa come brano di chiusura del suo album di debutto
“Gris-Gris” del 1968. Fu poi reinterpretata più volte da molteplici musicisti.
Dr. John affermò che la canzone era basata su una
canzone voodoo tradizionale. “Avrebbe dovuta essere Splendors, ma la cambiai in
Splinters… pensavo semplicemente che splinters suonasse meglio e ho sempre
visualizzato schegge quando la cantavo”. Il musicista di New Orleans Coco
Robicheaux, il cui nome è citato nel testo, disse: “Dr. John era molto
interessato nella metafisica … nel voodoo le “schegge dorate” sono i punti di
un pianeta. Da un punto di vista mistico, appaiono come piccole schegge dorate,
come pepite d’oro, come braci che continuano a bruciare. Sono forze differenti
in momenti differenti. Suppongo che si leghi con l’astrologia, e influenza
l’energia. Ecco di che cosa si tratta”.
Molte parti del testo sono nel dialetto di New
Orleans e riportano termini slang come “kon kon” o il Ti prima di un nome (Ti
Albert), e anche nel francese parlato in quella città (“Je suis the Grand
Zombie”). Un altro riferimento a New Orleans si trova in “king of the Zulu”, un
termine del carnevale del Mardi Gras, e in “gris gris”, che è un talismano
voodoo.
Inoltre sono usati anche termini di slang tipico
americano utilizzato in molte canzoni blues, come “tom cat” nella sua accezione
di donnaiolo, o “they jive me” (mi prendono in giro).
Alcune persone pensano di prendermi in giro
So che devono essere pazze
Non vedono la loro sventura
Suppongo siano semplicemente pigre
Je suis il Grande Zombie
Cintura gialla di Choison
Non ho paura dei donnaioli
Mi riempio il cervello di veleno
Cammino attraverso il fuoco
Volo attraverso il fumo
Vedo il mio nemico
Alla fine della corda
Camminare su aghi e spilli
Vedi quello che possono fare
Camminare su schegge dorate
Con il re degli Zulu
Con bu nay killy con con
Camminare su schegge dorate
Con bu nay killy con con
Camminare su schegge dorate
Rotolo fuori dalla mia bara
Bevo veleno nel mio calice
L’orgoglio comincia a svanire
E finirete tutti per sentire il mio astio
Metterò del gris gris sulla tua soglia
Presto sarai nel canale di scolo
Fonderò il tuo cuore come burro
e-e-e ti farò balbettare
Con bu nay killy con con
Camminare su schegge dorate
Con bu nay killy con con
Camminare su schegge dorate
Coco Robicheaux vedo il potere andare
Vieni giù alla mia soiree
Porta il tuo parain (padrino), la tua Marie, la
tua Mami, il tuo Dondi
Tuo cugino, tutta la famiglia
No fine de cose bonne?
La jovial la chandelle?
Se la fais la carabas?
Con bu nay killy con con
Camminare su schegge dorate
Con bu nay killy con con
Camminare su schegge dorate
Con bu nay killy con con
Camminare su schegge dorate
Con bu nay killy con con
Camminare su schegge dorate
Anna & Elizabeth: un duo folk
americano costituito da Anna Roberts-Gevalt ed Elizabeth Laprelle, che integra
musica sperimentale con esecuzioni autentiche di canzoni folk degli Stati
Uniti. Dall’album del 2018, “The Invisible Comes to Us”, è tratto questo brano.
Mamma è nel cimitero, e io sono sulla terra,
cercatemi
Mamma è nel cimitero e io sono sulla terra
E voglio che il grembo di Dio sia il mio cuscino
Nascondimi tra le rocce dei secoli
Cercami
Sto salendo sulla scala di Giacobbe, cercami
Sto salendo la scala di Giacobbe
E voglio che il petto di Dio sia il mio cuscino
Nascondetemi nelle rocce dei secoli
Cercatemi
Vedi Fratello Pietro quando raggiungerai il Regno,
cercami
Vedi Fratello Pietro quando arriverai al Regno
E voglio che il petto di Dio sia il mio cuscino
Nascondetemi nelle rocce dei secoli
Cercatemi
Conduci quella carrozza fino alla mia porta,
cercami
La storia di Sansone e Dalila è stata ispirazione di uno spiritual
tradizionale, noto anche col titolo “If I had My Way”, soggetto nel corso dei decenni a molteplici adattamenti e all'aggiunta di strofe. Qui nella versione del
reverendo “Blind” Gary Davis, la canzone fu ripresa e riarrangiata anche dai
Grateful Dead.
Se facessi a modo mio
Se facessi a modo mio
Se facessi a modo mio
Demolirei quest’intero edificio
Dalila era una donna, era bella e giusta
Di aspetto gradevole – Dio lo sa – e con capelli
neri come il carbone
Dalila conquistò la mente del vecchio Sansone
Quando la vide per la prima volta, questa donna
era incantevole
Dalila salì sulle ginocchia di Sansone
Disse: raccontami dove risiede la tua forza, se
vuoi
Poi ella parlò con tale gentilezza, con tale
lealtà
Che Sansone disse, Dalila puoi tagliarmi i capelli
Puoi radere la mia testa fino a che sia liscia
come la mia mano
La mia forza diverrà normale come quella di ogni
altro uomo
Avete letto di Sansone, fino dalla nascita
Era l’uomo più forzuto mai vissuto sulla terra
Un giorno mentre Sansone passeggiava
Guardò al suolo e vide una vecchia mascella
Poi allungò il suo braccio e le sue catene si
spezzarono come fili
E quando dovette spostarsi, in diecimila erano
morti
Ora Sansone e il leone, presero a combattere
E sansone salì sulla schiena del leone
Hai letto di questo leone, uccise un uomo con la
sua zampa
Sansone mise le mani intorno alla mascella del
leone
Lacerò quella bestia, l’ammazzò
E le api fecero il miele nella testa del leone
Se facessi a modo mio
Se facessi a modo mio
Se facessi a modo mio
Demolirei quest’intero edificio
Il disco “Liege and Lief”, quarto album dei Fairport
Convention, pubblicato nel 1969, comprende numerosi brani tradizionali
riarrangiati, ma anche alcune composizioni originali come questa firmata dal
chitarrista Richard Thompson e dal violinista Dave Swarbrick.
“La canzone è una tragedia resa sia con grande potenza sia
in modo quasi perfetto e con una certa economia di mezzi, nel senso
Aristotelico. L’azione dell’eroe
costituisce anche il suo proprio disfacimento e, sempre che egli se ne renda
conto, se ne rende conto solo troppo tardi. La esatte dimensioni della tragedia
muteranno sulla base di un numero di fattori, incluso il fatto che noi possiamo
credere pienamente alla percezione di Michael degli eventi o a ciò che il
narratore ci racconta di essi. Crediamo che Michael riconosca ciò che ha fatto
solo dopo averlo fatto? Possiamo noi fidarci della parola del narratore, quando
asserisce che l’occhio di Michael è sano di mente e la sua parola è schietta,
in particolare alla luce di ciò che udiamo prima e dopo quel verso? Per quanto
la tragedia risuoni con l’intensità maggiore alla sorpresa di un primo ascolto,
la canzone continua a ricompensare l’ascoltatore ai passaggi successivi, toccandolo
sempre più nel profondo quando vi ritorna.”
Robert Hunter: “’Tennessee Jed’ ebbe origine a Barcellona. Riempito
di “vino tinto”, la composi ad alta voce al suono di uno scacciapensieri fatto
vibrare tra facciate di edifici che ne riecheggiavano il suono da qualcuno che
passeggiava un mezzo isolato avanti a me nel tardo crepuscolo estivo”.
Una storiella perfettamente incorniciata – esprime e ci
comunica il luogo, il momento, la stagione, lo stato mentale di Hunter, la
musica nell’aria e la luce, e ci ritroviamo là. Eppure il testo che ne risulta
appare incoerente! Folklore americano allo stato puro, colmo di riferimenti a
un ignoto spettacolo radiofonico degli anni quaranta del novecento e di
personaggi che paiono scesi da un romanzo ambientato nel Sud rurale. Colpisce,
però, che sia una canzone sulla nostalgia di casa, e forse è da lì che Hunter
lo ricava – il desiderio di essere in quel posto che preferisce a ogni altro al
mondo.
Il nostro narratore è davvero a mal partito. Si trova in
prigione, o per lo meno alla catena con una squadra di lavoratori forzati, all’inizio
della canzone, e le cose non vanno esattamente nel migliore dei modi. È il
destino della povera gente lungo i secoli: “l’uomo ricco calpesta la mia povera
testa…” col risultato che si può cercare tregua solo nel bere, nel gioco d’azzardo,
e nella migliore amica dell’uomo.
Lo sconosciuto spettacolo radiofonico “Tennessee Jed”, andò
in onda dal 1945 al 1947, ed era sponsorizzato da una ditta di panificazione
(Tip-Top Bread), il che sembra legarsi con il verso “quando tornerai farai
meglio a imburrarmi il pane” (coincidenza? Non credo). Il personaggio del
titolo, Jed (un tipo pratico con una sei colpi), abita un territorio con
personaggi che rispondono al nome di Cookstove, il tiratore scelto Steve
Martin, lo sceriffo Anderson, Capo Aquila Grigia, Gedeone Gordon, e altri
ancora. Tra le altre sue imprese da “buon samaritano”, Jed (che pure canta)
sventa un piano per rovesciare il governo degli Stati Uniti a opera di una
banda che intende dare nuovo inizio alla Guerra Civile (che al tempo era
relativamente recente, un po’ come per noi la Seconda Guerra Mondiale - per cui una sorta di storia da Capitan
America, tanto per contestualizzare).
Stranamente, il titolo della canzone e il personaggio in
essa non sono perfettamente abbinati. Il verso nella canzone dice “ritorniamo
nel Tennessee, Jed”, e non “torniamo a Tennessee Jed”. Per cui c’è un gioco su
nome del personaggio e dello spettacolo, per chi lo sa cogliere. Giusto nel
caso foste stati in ascolto all’epoca.
“Tennessee Jed” fu eseguita per la prima volta allo
spettacolo del 19 ottobre del 1971 al Northrup Auditorium alla University of
Minnesota di Minneapolis, insieme con altre cinque “premiere”: “Jack Straw,”
“Mexicali Blues,” “Comes a Time,” “One More Saturday Night,” e “Ramble On
Rose.” Divenne da subito un caposaldo del repertorio dal vivo, comparendo ogni
anno per un totale di 433 esecuzioni. L’ultima volta fu eseguita l’8 Luglio del
1995, al penultimo spettacolo della band a Chicago.
Fu sul disco “Europe ’72”, una di quella serie di canzoni
mai registrate in studio, e fu ripresa in modo memorabile da Levon Helm sul suo
disco Electric Dirt nel 2009.
Amo la musica scritta da Garcia per “Tennessee Jed.” Il
motivo discendente è orecchiabile e poi, nella parte solista, il ponte senza
parole che esplode in uno spazio del tutto nuovo, proprio di fronte alla nostre
orecchie. Non me ne stufo mai. Dalle circostanze descritte da Hunter relative
alla composizione del testo, mi viene la sensazione che la frase discendente
possa essere stata suggerita da Hunter – il quale spesso, il più delle volte,
pare, componeva i suoi testi con delle musiche che poi Garcia, il più delle
volte, scartava per ripartire da zero (ci sono eccezioni di rilievo, in cui la
musica di Hunter venne mantenuta, in particolare in “It Must Have Been the
Roses.” e “Easy Wind.”).
Sembra una frasetta vibrante che potrebbe giungere col ritmo
delle parole, e potrebbe essere stata suggerita dal suono di uno
scacciapensieri.
Poi c’è il ritmo, che rientra in quella categoria “shuffle”
dei brani Grateful Dead, un tipo di beat tranquillo, che rimbalza gentilmente e
su cui ci si muove facilmente, adatto a una varietà di tempi. A volte la band sembrava
chiedere “quanto lentamente possiamo suonarla?”. È completamente ascientifico,
ma un controllo sul posto dei tempi di durata di varie esecuzioni della canzone
lungo gli anni mostra una variazione della durata da 7:15 e 8:40. Non può
essere tutto dovuto a un aumento del tempo dedicato alla jam, dato che questo
ha avuto una durata di battute regolarmente costante, per quanto posso
affermare senza un esame approfondito. Per cui attribuirei la vasta diversità
nei tempi di esecuzione a una variazione della velocità.
In conclusione, per me una canzone sul desiderio di tornare
a casa. Una delle molte con tale argomento nel repertorio dei Dead.
Brano tratto dal terzo album dei R.E.M., “Fables of the
Reconstruction”, pubblicato nel 1985. In quell’anno Stipe affermò che la
lettura di una mappa viene usata in
questa canzone come una metafora per la “lettura” di una persona: “Molte
persone sono come mappe. Le scruti, e le puoi stendere su un tavolo e leggerle
e scorrervi sopra il dito. Puoi trovare le loro piccole storie, i loro
quadratini e cerchietti … vai alla legenda e lì trovi che cosa significa il
cerchio. Poi ritorni alla mappa e tutto comincia ad acquistare significato.”
Disse anche (nel 1986) che la canzone “in qualche modo” parlava anche del
Reverendo Howard Finster, un ministro battista di Summerville, Georgia (morto
nel 2001) conosciuto per la sua arte folcloristica e visionaria (ad es. la
copertina di “Reckoning”), da cui i riferimenti alla pittura presenti nel testo.
Egli non è raggiungibile, è raggiungibile
Non può essere raggiunto, può essere raggiunto
Chiamato il folle e la compagnia
Per conto suo, dove preferirebbe stare
Dove dovrebbe essere
Ed egli vede ciò che tu non puoi vedere, non lo
capisci questo?
(egli vede ciò che tu non puoi vedere)
Forse è preso nella leggenda
Forse è preso nell’umore
Forse queste mappe e leggende
Sono state fraintese
Giù lungo la via, la strada è divisa
Dipingimi i posti che hai visto
Quelli che sanno ciò che io non so
Ricorri al giallo, al rosso e al verde
( Non riesci a vederlo?)
Forse è preso nella leggenda
Forse è preso nell’umore
Forse queste mappe e leggende
Sono state fraintese
Egli non è raggiungibile, è raggiungibile
Non può essere raggiunto, può essere raggiunto
La mappa che hai dipinto non sembra reale
Egli canta semplicemente qualunque cosa ha visto
Punta alla leggenda, punta all’est
Punta al giallo, rosso e verde
Forse è preso nella leggenda
Forse è preso nell’umore
Forse queste mappe e leggende
Sono state fraintese
Può essere raggiunto? Non può essere raggiunto
(Mappe e leggende)
Può essere raggiunto? Non può essere raggiunto
(Mappe e leggende)
Può essere raggiunto? Non può essere raggiunto,
non più (Mappe e leggende)
"Young at Heart" è una ballata composta da Johnny
Richards con testo scritto da Carolyn Leigh. La canzone fu scritta e pubblicata
nel 1953, laddove la Leigh aggiunse le parole a un brano di Richards nato come
strumentale e chiamato originariamente “Moonbeam”. Frank Sinatra fu il primo a
registrare la canzone, la quale ebbe un grandissimo successo di vendite. Tra
gli innumerevoli artisti che la ripresero negli anni ricordiamo anche Tom
Waits, che la incluse nella sua raccolta “Orphans”.
Le fiabe possono avverarsi, può succedere a te
Se sei giovane di spirito
Perché è difficile, scoprirai, avere una mentalità chiusa
Se sei giovane di spirito
Puoi arrivare agli estremi con schemi impossibili
Puoi ridere quando i tuoi sogni si sgretolano e si scuciono
E la vita diventa più emozionante ogni giorno che passa
E l’amore è nel tuo cuore, o per la sua strada
Non lo sai che vale ogni tesoro sulla terra
Essere giovani di spirito?
Perché per quanto tu sia ricco, è di gran lunga meglio
Essere giovani di spirito
E se sopravvivrai fino all’età di 105 anni
Guarda tutto ciò che ricaverai dall’essere vivo
E questa è la parte migliore, parti in vantaggio
Se ti ritrovi tra i più giovani di spirito
E se sopravvivrai fino a 105
Guarda tutto ciò che otterrai rimanendo vivo
E questa è la parte migliore, parti dalla prima posizione
Se sei tra i più giovani di spirito
“God Save the Queen” è il secondo singolo
della band Sex Pistols. Fu pubblicato il 27 maggio 1977, durante il giubileo
d’argento di Elisabetta II del Regno Unito.
La band ha sempre negato che la canzone sia stata
creata appositamente per il Giubileo. Paul Cook disse:
«Non è stata scritta specificatamente per il Giubileo della regina, non era
un'opera studiata a tavolino per venire fuori e scioccare tutti». John
Lydon spiegò poi il significato del testo dicendo: «Non si scrive una canzone
del genere perché si odiano gli inglesi. La si scrive perché si amano e si
è stanchi di vederli maltrattati». Originariamente il titolo era No Future,
ma il loro manager Malcolm McLaren, sapendo dell'imminente Giubileo
d'Argento della regina, convinse la band a cambiare il nome del singolo
in “God Save the Queen”, e ne ritardò l'uscita per farla coincidere con la
manifestazione.
“Der Traum ist aus” è una canzone del gruppo rock
tedesco Ton Steine Scherben, composta da Rio Reiser, pseudonimo di
Ralph Möbius, e pubblicata sul loro secondo disco "Keine Macht für
Niemand" (del 1972). Formatisi nel 1970 a Berlino Ovest, intorno al leader
Rio Reiser (il quale dal 1985 si dedicò a una prolifica carriera solista fino
1996, anno della sua morte,), furono uno dei primi gruppi rock a proporre testi
in lingua tedesca, caratterizzati da una grande intensità emotiva e politica.
Ho sognato, che l’inverno era alle spalle
Tu eri qui e noi eravamo liberi
E il sole del mattino splendeva
Non c’era paura e non c’era nulla da perdere
C’era pace tra gli esseri umani e tra gli animali
Era il paradiso
Il sogno è finito
Il sogno è finito
Ma darò tutto, perché divenga realtà
Ma darò tutto, perché divenga realtà
Ho sognato, che la guerra era finita
Tu eri qui e noi eravamo liberi
E il sole del mattino splendeva
Tutte le porte erano aperte, le prigioni vuote
Non c’erano armi e non c’erano più guerre
Era il paradiso
Il sogno è finito
Il sogno è finito
Ma darò tutto, perché divenga realtà
Ma darò tutto, perché esso divenga realtà
C’è una nazione sulla terra, dove il sogno è
verità?
Non lo so davvero
Solo una cosa so, e ne sono sicuro
Quella nazione
non è questa
Quella nazione non è questa
Quella nazione non è questa
Quella nazione
non è questa
Il sogno è un sogno, in questo momento
Ma non per molto, preparati
Alla lotta per il paradiso
Non abbiamo nulla da perdere, se non la nostra
paura
Una canzone del gruppo rock tedesco Ton Steine
Scherben, testo di Rio Reiser, pseudonimo di Ralph Möbius, tratta dal
disco "Keine Macht für Niemand" (del 1972).
Mi senti cantare, ma non mi conosci
Non sai per chi io canto, ma io canto per te
Chi costruirà il nuovo mondo, se non tu e io?
E se ora tuo vorrai capirmi, allora mi capirai
Mi sono svegliato e ho visto
Da dove veniamo, dove andiamo
E il lungo percorso che si pone davanti a noi
Conduce passo dopo passo al Paradiso
Ho atteso a lungo e ho riflettuto
Ha fatto tanti sogni e ora sono sveglio
Se cerchiamo, troveremo la nuova terra
Dal Paradiso nulla ci divide, se non la nostra
paura
La canzone apre il disco “Graceland” di Paul Simon,
pubblicato nel 1986. Il testo non si riferisce tanto all'esperienza africana di
Simon nello specifico, ma riporta più le sue osservazioni su quanto la vita sia
piena di potenziale [...] e di sfide. Parlando con la rivista Rolling Stone spiegò,“The Boy In The Bubble si riduce a
speranza e timore. Questo è il mio modo di vedere il mondo, un equilibrio tra i
due, ma con una tendenza verso la speranza”.
Era un giorno fiacco
E il sole picchiava
Sui soldati al lato della strada
C’era una luce brillante
Una distruzione di vetrine di negozi
La bomba nella carrozzina
Era collegata alla radio
Questi sono i giorni del miracolo e dello stupore
Questa è la chiamata interurbana
Il modo in cui la camera ci segue al rallentatore
Il modo in cui ci guardiamo tutti
Il modo in cui guardiamo a una costellazione
lontana
Che sta morendo in un angolo del cielo
Questi sono i giorni del miracolo e dello stupore
E non piangere bambina, non piangere
Non piangere
Era un vento asciutto
E spazzava il deserto
E si avvolgeva a spirale nel circolo della nascita
E la sabbia morta
Cadente sui bambini
Sulle madri e sui padri
E sulla terra automatica
Questi sono i giorni del miracolo e dello stupore
Questa è la chiamata interurbana
Il modo in cui la camera ci segue al rallentatore
Il modo in cui ci guardiamo tutti
Il modo in cui guardiamo a una costellazione
lontana
Che sta morendo in un angolo del cielo
Questi sono i giorni del miracolo e dello stupore
E non piangere bambina, non piangere
Non piangere
È un tiro in sospensione con la giravolta
È una partenza con la spinta
È ogni generazione che lancia un eroe a scalare le
classifiche pop
La medicina è magica e magica è l’arte
Pensa al ragazzo nella bolla
E al bambino con il cuore di babbuino
E io credo che
Questi siano i giorni dei laser nella giungla
raggi laser nella giungla da qualche parte
Segnali intermittenti di informazione costante
Una slegata affiliazione di milionari
E miliardari e, bambina,
Questi sono i giorni del miracolo e dello stupore
Questa è la chiamata interurbana
Il modo in cui la camera ci segue al rallentatore
Il modo in cui ci guardiamo tutti
Il modo in cui guardiamo a una costellazione
lontana
Dal primo album solista di Mike Scott, "Bring 'Em All In", pubblicato dal fondatore dei Waterboys nel 1995, la canzone prettamente autobiografica è nel contempo una rievocazione degli anni della giovinezza e un omaggio alla città natale dell'autore.
Mi svegliai al mattino
Alle sette e ventiquattro
Bevetti una tazza di caffè
Uscii dalla porta
Dissi addio
Al mio migliore vecchio amico
Feci un giro
Fino al vecchio West End
Camminai lungo Princes Street
I piedi mi facevano male
Mentre mi contorcevo dentro alle scarpe
Stavo pensando a mio papà
C’era lo scheletro di una canzone
Che mi rimbombava in testa
A meno che non ricordi male,
questo è ciò che diceva:
Castello di Edimburgo
Che abbracci il cielo
Fredda pietra grigia, asciutta e priva di umorismo
Siedi come un tappo, sulla cima della città
Uno di questi giorni, ti abbatterò
Saltai su un bus
Un affidabile numero 23
Diretto ai Reali Giardini Botanici
Dove un fantasma mi stava chiamando
Vidi una coppia di salici piangenti
Una terra bruciata e appassita
Vidi un uomo e un ragazzino
Che si tenevano per mano
Scrutai l’orizzonte
Somigliava allo scenario di una commedia
Mai vidi la tua bellezza spietata
Finché non fui stato via
Stavo salendo sul Mound
Mi colpì come uno scampanio
Devo aver sognato questa scena
Un migliaio di volte!
Castello di Edimburgo
Che abbracci il cielo
Fredda pietra grigia, seriosa e arida
Siedi come un tappo, sulla cima della città
Uno di questi giorni, ti farò crollare
Mi ritrovai in Forrest Road
Con un certo dolore
Questa città una volta era mia
Ma mia ora non è più
Ed ecco qui la mia vecchia scuola, "Jingling Geordie's"
La prima facciata del LP “Tarkus”, pubblicato da
Emerson, Lake & Palmer nel 1971, è interamente occupata da una suite
suddivisa in sette sezioni composte da Keith Emerson a eccezione di “Battlefield”
accreditata a Greg Lake.
Il campo di battaglia
Sgombera il campo di battaglia e lascia che io
veda
Tutto il beneficio della nostra vittoria
Parli di libertà, bambini cadono morti di fame
Sei sordo quando senti il richiamo della stagione?
La storia dei Girls at Our Best! ha inizio nel 1977, quando
la cantante Judy Evans e il chitarrista James Alan si conoscono frequentando la
scuola d’arte. Alan era in un gruppo punk chiamato SOS, al quale in seguito la
Evans si unì. Il gruppo si evolse poi nei Butterflies, che si fecero notare ed
ebbero almeno un fan di alto profilo nella persona di Sid Vicious; ma si sciolsero alla
fine del decennio.
Nell’aprile del 1980, il singolo di debutto dei GaOB!, “Getting Nowhere Fast” b/w “Warm
Girls,” fu pubblicato dalla loro stessa etichetta, Record Records, la quale era
distribuita da Rough Trade. “Getting Nowhere Fast” fu eletto dal New Musical Express
“singolo della settimana” ed entrò nei primi dieci posti della classifica indie
del Regno Unito, ma Girls at Our Best! non era una vera e propria band; erano
ancora soltanto Evans e Alan. Pertanto, data la richiesta di un secondo 45
giri, furono ingaggiati un bassista e un batterista.
“Getting Nowhere Fast” è una perfetta canzone post-punk.
Dotata di un riff di chitarra spigoloso e ficcante, e di una linea di basso
propulsiva, il testo sprezzante descrive la vacuità del capitalismo, la
passività delle masse, e la sensazione che la tua vita fallimentare non è
quella per cui avevi firmato. Dopo due minuti trascinanti, il pezzo termina in
modo inusuale, brusco e drammatico.
Non stai guardando avanti e non stai guardando
indietro
Hai perso la garanzia, non riavrai mai indietro i
tuoi soldi
Il mio bambino mi sta comprando un'altra vita, senza
fare grandi progressi
Sono piuttosto intelligente, non faccio quello che
vogliono loro.
Non li ignoro neppure, è quello che fa la gente
comune.
Il mio bambino mi sta comprando un'altra vita, non
si va da nessuna parte velocemente
Ti fa sentire bene, hai risposto bene a tutte le
domande
Ha vinto una vacanza, che ti aiuterà a dormire la
notte
Il mio bambino mi sta comprando un'altra vita, non
si va da nessuna parte velocemente
Non guardiamo avanti e non guardiamo indietro
Abbiamo perso la garanzia, non riavremo mai i
nostri soldi indietro
Il mio bambino mi sta comprando un'altra vita, senza
fare grandi progressi
Too Much Monkey Business è un brano di Chuck Berry pubblicato
nel 1956. La canzone è stata indicata da Dylan come fonte di
ispirazione primaria per la sua Subterranean Homesick Blues.
Il brano è musicalmente ispirato allo stile
"swing-boogie" reso celebre da Louis Jordan e nei contenuti vengono
descritti un campionario di problemi quotidiani con cui inevitabilmente la
gente comune deve, prima o poi, misurarsi. Dopo aver concluso la maggior parte
delle strofe con un'esclamazione di disgusto e frustrazione, a cui fa seguito
l'immancabile ritornello «Too Much Monkey Business for me to be involved
in», la canzone si risolve nella finale esortazione liberatoria: «Don't
want your botheration! Go away, leave me be!»
Corro avanti e indietro, sgobbo duro giù alla
fabbrica
Non manca mai nella posta, arriva una schifosa
bolletta
Troppi intrallazzi, troppi intrallazzi
Troppi intrallazzi per me, non mi lascerò
coinvolgere
Il venditore mi parla, cerca di mettermi in
difficoltà
Dice puoi comprarla, dai provala, puoi pagarmi la
settimana prossima, ah
Troppi intrallazzi, troppi intrallazzi
Troppi intrallazzi per me, non mi lascerò
coinvolgere
Capelli biondi, bell’aspetto, cerca di farmi
abboccare all’amo
Vuole sposarsi, mettere su casa, sistemarsi,
scrivere un libro
Troppi intrallazzi, troppi intrallazzi
Troppi intrallazzi per me, non mi lascerò
coinvolgere
Tutti i giorni la stessa storia, svegliarsi,
andare a scuola
Non c’è scopo a lamentarsi, la mia obiezione è
respinta, ah
Troppi intrallazzi, troppi intrallazzi
Troppi intrallazzi per me, non mi lascerò
coinvolgere
Telefono a gettoni, qualcosa non funge, la moneta
è andata, scriverò
Dovrei denunciare il centralinista per avermi
raccontato una storia, ah
Troppi intrallazzi, troppi intrallazzi
Troppi intrallazzi per me, non mi lascerò
coinvolgere
Sono stato a Yokohama, ho combattuto in guerra
Brandina militare, sbobba militare, vestiti
militari, auto militare, ah
Troppi intrallazzi, troppi intrallazzi
Troppi intrallazzi per me, non mi lascerò
coinvolgere
Lavoro alla pompa di benzina, troppe mansioni
Lava i vetri, controlla gli pneumatici, controlla
l’olio, un dollaro di benzina
Troppi intrallazzi, troppi intrallazzi
Troppi intrallazzi per me, non mi lascerò
coinvolgere
Non voglio le vostre seccature, andate via,
lasciatemi
La Downchild Blues Band di Toronto, co-fondata nel
1969 da due fratelli, Donnie e Richard "Hock" Walsh, è servita da
ispirazione per i due personaggi dei Blues Brothers. Aykroyd ha modellato
Elwood Blues in parte su Donnie Walsh, suonatore di armonica e chitarrista,
mentre il personaggio di Jake Blues di Belushi è stato modellato su Hock Walsh,
cantante dei Downchild. Nel loro primo album, “Briefcase Full of Blues” (1978),
Aykroyd e Belushi presentarono tre note canzoni dei Downchild strettamente
associate allo stile vocale di Hock Walsh: "I've Got Everything I Need
(Almost)", scritta da Donnie Walsh, "Shotgun Blues", co-scritta
da Donnie e Hock Walsh, e "Flip, Flop and Fly", co-scritta e
originariamente resa popolare da Big Joe Turner. Tutte e tre le canzoni sono
state inserite nel secondo album dei Downchild, Straight Up (1973), e
"Flip, Flop and Fly" è diventato il singolo di maggior successo della
band nel 1974. Questa canzone descrive con grande drammaticità la disperazione
del protagonista, e sembra fare il paio con la “Guilty” di “Made in America”.
Tutte le notti vado a dormire
La tristezza cade come pioggia
Ogni notte vado a dormire
Il Blues cade come pioggia
Prendo pillole e whiskey da pochi soldi
Semplicemente per cercare di alleviare il tormento
Beh, è dura giocare d’azzardo
Quando perdi tutte le scommesse
Difficile risparmiare denaro
Quando sei nei debiti da venti anni
Il blues cade
Cade su di me come pioggia
Ora prenderò un fucile, gente
E scollegherò il mio cervello
Ho commesso alcuni errori
Ho avuto dei colpi di sfortuna
Ora il mio cervello non funziona
E tutto il corpo mi duole
Il blues cade
Cade su di me come pioggia
La mia vita è come acqua
Che vortica giù per lo scarico
Ho provato a mettermi in piedi
Ma continuo a cadere
Ho provato a mettermi in piedi
Da “Good Old Boys”, il quarto album in studio di Randy
Newman, pubblicato nel 1974. Prima di comparire su questo disco, la canzone fu incisa da Bonnie Raitt nel 1973. Altre versioni di rilievo sono quelle di Joe Cocker e di John Belushi con i Blues Brothers.
Sull’album “If I Should Fall…“ i Pogues incisero questa
canzone in un "Medley" composto da tre brani tradizionali: "The
Recruiting Sergeant," "Rocky Road to Dublin," e "Galway
Races."
"The Recruiting Sergeant" si riferisce alle
pratiche di reclutamento degli inglesi durante la Prima Guerra Mondiale. “Kaki” era il colore dell’uniforme dell’esercito
britannico. Successivamente al disastro della prima battaglia di Ypres, Lord Kitchener
fu designato Segretario della Guerra con il compito di accrescere l’esercito
inglese. Il Proclama fa riferimento alla chiamata di Kitchener rivolta ai
volontari.
In Belgio, le Fiandre furono teatro di combattimenti con grandi
perdite, tra cui le due battaglie di Ypres, che spinsero appunto a incrementare
l’arruolamento, mentre invece la “lotta da combattere a Dublino” fa
probabilmente riferimento alla “Rivolta di Pasqua” del 1916.
Ufficiali e sottufficiali dell’esercito britannico erano in
gran parte inglesi. Gli irlandesi erano considerati utile carne da cannone
piuttosto che condottieri.
La canzone “Still” dà il titolo al primo (e, finora, unico)
album solista di Peter Sinfield, già paroliere dei King Crimson che curò anche
i testi delle versioni inglesi di brani della P.F.M., pubblicato nel 1973. All'epoca Sinfield collaborava
con gli EL&P e Greg Lake prestò la propria voce al
brano, mentre altri ex-componenti dei King Crimson parteciparono alle
registrazioni.
Continuo a chiedermi com’è essere una corrente,
in continuo flusso da un oscuro pozzo
serpeggiando diretto al mare, sopra antiche ruote
muscose
Senza provare tuttavia alcun bisogno di sapere?
Continuo a chiedermi com’è essere un albero,
Cerchiato servitore delle stagioni,
e soltanto bere al cielo e graffiare il vento
invernale
E non avere bisogno del sigillo di spiegazioni?
Continuo a chiedermi perché mi chiedo perché sono
qui
Tutte le mie parole sono solo il fusto della mia
mazza
Mentre corro su questa magnifica sfera
Come un cane che insegue il suo…
Sarti e ambulanti, principi e Incas,
Marinai e affondatori, prima di me e come me…
Continuo a chiedermi com’è essere un uccello,
cantando ogni singola dolce effusione dell’alba;
Volando via lontano quando tutto il mondo è in
trambusto
Senza tutta via cercare vane conclusioni…
Continuo a chiedermi se ho attraversato qualche
tempo andato
In forma di uccello, o corrente, o albero?
Per salire in alto devi prima sprofondare in basso
Come le mutevoli maree dei
Cesari e Faraoni, profeti e degli eroi,
poeti e senzatetto, prima di me e dopo di me,
tutti i
pittori e danzatori, opportunisti,
Mercanti e giocatori d’azzardo, banchieri e
vagabondi,
"Matte Kudasai" è una ballata della band King
Crimson. Cantata dalla voce di Adrian Belew, che è anche autore del testo, fu pubblicata come primo singolo dell’album
Discipline (1981). Il titolo in Giapponese significa “Aspetta, per favore”.
Da un articolo pubblicato su dontforgetthesongs365 , sulla canzone scritta da Robbie Robertson nel 1976 e immortalata nel film "The Last Waltz".
Potevo crederci? Quando ho visto per la prima volta The Last Waltz, avrei giurato che "Evangeline", la canzone che The Band ha cantato con la musa preferita di Gram Parsons, Emmylou Harris, fosse uno standard tradizionale del sud. Ma non lo era, mi sbagliavo; infatti, l'esecuzione e la registrazione di "Evangeline" dimostrano quanto bene The Band, e in particolare il leader musicale Robbie Robertson, abbia ricreato liricamente il suono della Louisiana, portato in vita con macchine del fumo su un freddo palcoscenico di Hollywood, con l'angelica Emmylou Harris che canta insieme con i suoi compagni di The Band. Come hanno fatto a trasformare istantaneamente questa gemma New Americana, scritta da Robbie Robertson, in un classico del profondo sud? È come se Rick Danko, Garth Hudson, Richard Manuel, Levon Helm e Robbie Robertson ci avessero magicamente trasposto in uno stato mentale bluegrass-Cajun.
"Evangeline" ha collegato le prime riflessioni di Robbie Robertson sull'America, come disse a "Classic Albums" nel 1997: "Era un pezzo di America che era semplicemente più musicale. Non ho idea del perché, ma quando ci sono andato per la prima volta, avevo sedici anni e sono sceso dall'autobus in Arkansas, mi ha colpito subito. Si sentiva l'odore. Potevi sentire l'odore della musica. L'aria si poteva assaporare, si poteva sentire tutto. Subito ho detto: "Ho capito". È stata questa filosofia musicale che The Band e in particolare Robbie Robertson hanno impostato per ricreare i loro ricordi dei loro primi panorami, odori e sensi dell'America in canzoni come "Evangeline".
Robbie Robertson ha parlato di "Evangeline" in un'intervista con Joshua Baer di Musician Magazine, dicendo: "Avevo scritto "Evangeline" come parte della "The Last Waltz Suite". La facemmo nel concerto e facemmo anche alcune delle altre cose della suite al concerto. Ma quando abbiamo finito, è come se tutti questi artisti rappresentassero un elemento della musica popolare a loro modo. Emmylou Harris era fresca e rappresentava una nuova scuola di musica country e inoltre è molto fotogenica. Ha un ottimo rapporto con la macchina fotografica".
Alla domanda di Bauer sulla specifica scena ispirata alle nuvole in The Last Waltz, dove Harris sembrava un angelo che cantava accanto alla più mortale maestà di The Band, Robbie ha risposto: "Quel fumo era ghiaccio. Era ghiaccio che Scorsese aveva fatto per diversificare un po' la cosa. La canzone parlava di questa zona delle Everglades, quel bayou che visualizzi in modo nebbioso, quindi era in un certo modo in sintonia con la canzone".
L'autrice Annette Wernblad si è soffermata sull'uso del fumo
da parte del regista in quella immortale scena dell'Ultimo Valzer nel suo
libro, The Passion of Martin Scorsese: A Critical Study of the Films, quando
scrisse: "In contrasto con le storie di furti, sputi di sangue,
prostitute, bevute e droghe, Emmylou Harris appare radiosamente immacolata ed
eterea con il suo abito lungo fino al pavimento e i lunghi capelli neri. La
performance di Joni Mitchell [in The Last Waltz] suggeriva una donna stringata,
completamente moderna, alla pari e che condivideva lo stesso stile di vita
degli uomini. Emmylou Harris diventa l'antitesi a questo, invocando sia
l'eponima Evangeline dei giorni passati che scivola nella follia, sia essendo
lei stessa mostrata come una Madonna manifesta e senza tempo il cui abito
azzurro è dello stesso colore di quello in cui è tradizionalmente rappresentata
la Santa Vergine". "Evangeline" è uno di quei rari casi in cui
l'immagine e il testo trascendono il tempo e danno vita a una performance
memorabile catturata eternamente da Martin Scorsese in The Last Waltz.
Sapevate che "Evangeline" rimase quasi un
capolavoro incompiuto? Levon Helm ha descritto la scena alla Winterland
Ballroom di San Francisco, sede dell'ultima esibizione della band, scrivendo nel suo libro The Wheel's on Fire: "Era un manicomio
dietro le quinte. Jerry Brown, governatore della California, voleva stringerci
la mano. Abbiamo dovuto provare una nuova canzone chiamata "Evangeline"
che Robbie aveva scritto solo la sera prima, perché dovevamo eseguirla
nell'ultima parte dello spettacolo per la continuità del film. In effetti, il
pezzo era ancora incompiuto, e Robertson e John Simon [il produttore e arrangiatore di The
Band] erano rannicchiati in un angolo, cercando freneticamente di
trovare un arrangiamento che potessimo suonare senza prove. Poi siamo riusciti
a suonare "' Evangeline'' in una specie di "two-step" country, leggendo
il testo su dei gobbi tenuti dietro le telecamere, ma la mancanza di prove ha
davvero raccontato la storia".
Non si potrebbe mai dire che "Evangeline" è stata
scritta il giorno della performance finale dell'ultimo spettacolo di The Band
al Winterland. Il modo in cui Robertson ha scritto questa bellissima canzone ha
evocato un'atemporalità che ha raggiunto la gloria di alcune delle canzoni più
vintage di The Band da Music from Big Pink e dall'LP autointitolato The Band
del 1969. Va anche detto che Robertson trovò ispirazione dal poeta americano
Henry Wadsworth Longfellow, come ha notato Peter Viney, il cui poema epico del
1849 intitolato "Evangeline" menzionava anche "Evangeline from
the Maritimes", raffigurata nella canzone già senza tempo di Robbie.
Nonostante tutte le congetture sui crediti di songwriting che hanno perseguitato
il lascito di The Band, "Evangeline" dimostra definitivamente, non
c'è dubbio, che Robertson era l'autore e il custode della fiamma lirica di The
Band.
Incredibilmente scritta nel 1976, giuro che si possono chiudere gli occhi e assaporare il profumo dei campi di cotone che
soffia attraverso la dolcezza di questa gloria del sud. In "Classic Albums", lo
studioso di musica Greil Marcus ha paragonato la musica di Robbie e The Band a
un passaporto musicale, che riporta l'ascoltatore in un'America raramente sentita
e ora portata in vita in modo così bello e così autenticamente affascinante che
la musica spinge a mettere le cuffie e a vivere veramente questa avventura
musicale. Cosa state aspettando? Fate girare questo tesoro già vintage che vi
implora dal suo violino d'apertura di rivivere il leggendario splendore tra i
fili di questa bellezza scritta da Robbie Robertson e che rimane il classico
immediato che è "Evangeline".
Ella sta sugli argini del possente Mississippi
Sola nella pallida luce lunare
Aspettando un uomo, un giocatore d’azzardo sui
battelli fluviali
Che disse sarebbe tornato stanotte
Erano soliti ballare il valzer sugli argini del
possente Mississippi
Amandosi per tutta la notte
Il giocatore d’azzardo fuori per un colpaccio
E per riportarti il bottino
Evangeline, Evangeline
Maledice l’anima della “Regina del Mississippi”
Che ha portato via il suo uomo
Bayou Sam dalla Louisiana del Sud
Aveva il gioco d’azzardo nelle vene
Evangeline che veniva dalle Province Marittime del
Canada