giovedì 28 dicembre 2017

X-Ray Style

In prossimità del Natale di quindici anni fa moriva Joe Strummer. Nato in Turchia e cresciuto a Londra, era dotato di una curiosità illimitata, non solo per la musica ma per la cultura in generale e il testo di questa canzone, una delle molte scritte successivamente al periodo con i Clash, accorpa il continente Africano, il bebop e il grande cantante rockabilly Eddie Cochran.



Come coi raggi x, in stile raggi x

Vedo un milione percorrere il miglio cittadino
I re della parata onorifica e i ragazzini
Mi dirà qualcuno da che parte andare?
Ci sarà qualcuno che ritornerà alla radio C.B.?

E sto contando le stelle e i pali del telegrafo
E ognuna rappresenta la speranza di un’anima
Ti viene da pensare che Dio non sarebbe così duro
Quando vedi tutti quei bambini correre
Correre nel cortile dietro casa

Su una zucca del Mississippi, con una canzone subsahariana
Qualcuno si lamenta nel sole del Financial District
C’è qualcuno che percepisce la distanza dal Nilo?
Voglio vivere, e voglio ballare per un po’

Farò come Eddie sul mio treno rockabilly
Sconfiggerò la tristezza, battendo a tempo di blues sulla mia palla al piede
Oh non puoi fare una rapina a mano armata con una pistola Be-Bop
In questi giorni vivono persone che non hanno cuore
E non lo hanno mai avuto

Giù sul confine, percorrono tutta la strada strisciando
Per uno stralcio di vita con uno spray pulisci tutto
C’è qualcuno che percepisce la distanza dal Nilo?
Voglio vivere, e voglio ballare per un po’
Non puoi fare una rapina a mano armata con una pistola Be-Bop
In questi giorni vivono persone che non hanno cuore
E non lo hanno mai avuto

Sento suonare un telefono pubblico sul miglio assassino
E verrà composto il numero, del babbeo che tira su la cornetta,
E tutte le acque gassate che si siano mai viste scorrere
Non potranno mai lavare questa città
In modo sufficiente a farla splendere
E ho bisogno di vedere come con i raggi X
C’è qualcuno che percepisce la distanza dal Nilo?

Voglio vivere, e voglio ballare per un po’

giovedì 21 dicembre 2017

A Child's Christmas in Wales

Non si può parlare delle collaborazioni di John Cale senza parlare di Dylan Thomas. Sarebbe un errore imbrigliare questi due buoi insieme o far tirare il carro di Cale dal cavallo di Thomas. Eppure, c’è una reale empatia tra il lavoro di questi due, e Dylan il Vecchio fu chiaramente un’ispirazione per il nostro signor Cale. Un’ispirazione longeva – molto prima di mettere in musica poemi marinari con Brian Eno, Cale stava rubacchiando un titolo per la canzone che apre il suo disco del 1973: “Paris 1919”.

Non c’è un collegamento diretto tra il caleidoscopico racconto “A Child’s Christmas in Wales” e la parimenti caleidoscopica canzone, soltanto uno spirito condiviso di caustica reminiscenza relativa alle circostanze meravigliose e comiche delle infanzie dei loro autori. Riferimenti a Dylan Thomas costellano la canzone ("long-legged bait"), ma c’è moltissimo di Cale, con bellissimi versi che fanno drizzare le orecchie al primo ascolto ("Ha detto 'murdered oranges'? Sanguinavano a bordo della nave? Huh.") ma fanno risonare emozioni ("Take down the flags of ownership, the walls are falling down.") mantenendo una scorta di mistero ("Sebastapol, Adrianapolis, the prayers of all combined...") E solo per questo album Cale ha scritto parole come "The cattle graze bolt uprightly. Seducing down the door..."





Con il verde di vischio e candele
Per la vigilia di Ognissanti andiamo
Dieci arance assassinate sanguinavano a bordo della nave
Commedia prestata alla vergogna
Il gregge pascola arditamente eretto
Seducendo la porta ad aprirsi
Per sellare spade e un luogo d’incontro
Non abbiamo alcun luogo dove andare

Quindi stancamente i passi funzionarono
Le folle dell’alleluia
Troppo tardi ma aspetta, l’esca dalle lunghe gambe
Viaggiò inutilmente intorno
Sebastopoli, Adrianopoli
Le preghiere di tutti combinate
Tirano giù le bandiere del possesso
Le mura stanno cadendo

Una cinta da tenere
Anche Colombo, perimetri di chiodi
Percepito il tocco dorato di mamma
Fummo tutti buoni vicini

mercoledì 13 dicembre 2017

Just One Of Those Things

"Just One of Those Things" è una canzone scritta da Cole Porter per il musical del 1935 Jubelee. Tra tanti artisti che la hanno interpretata ci sono anche i Pogues, i quali ne realizzarono una versione per il disco "Red Hot and Blue", tributo al compositore statunitense pubblicato nel 1990.



Era solo una di quelle cose
Soltanto una di quelle pazze avventurette
Una di quelle campane che suonano di quando in quando
Solo una di quelle cose

È stata solo una di quelle notti
Uno di quei voli favolosi
Un viaggio fino alla luna su ali di ragnatela
Solo una di quelle cose

Se solo ci avessimo pensato un poco prima che finisse
Quando abbiamo cominciato a dipingere la città
Ci saremmo resi conti che la nostra storia d’amore
Era troppo bollente per non raffreddarsi

E allora addio, caro, e amen
Si spera che ci incontreremo di quando in quando
È stato un grande spasso
Ma era solo una di quelle cose

mercoledì 6 dicembre 2017

Insider

Canzone di Tom Petty da “Hard Promises”, disco del 1981 che prende il titolo proprio da uno dei versi del testo. Anche se fu scritta inizialmente per Stevie Nicks, la cantante scelse invece di fornire la seconda voce alla versione cantata da Petty, che disse: “le canzoni sono tutte promesse difficili, una promessa con cui devi trattare”.



Hai precedenti pericolosi
E tutto ciò di cui hai sognato
Sì sei l’Angelo Nero
Non appare quando tronchi con qualcuno
E io sono quello che dovrebbe saperlo
Sono quello lasciato nella polvere
Sono lo stupido col cuore infranto
Che non era mai abbastanza

Sono ben informato,
Sono stato bruciato dal fuoco
E ho dovuto vivere con delle promesse difficili
Ho strisciato attraverso i rovi
Sono uno che sa

È un circolo di inganni
È un salone pieno di sconosciuti
È una gabbia senza una chiave
Puoi percepire il pericolo
E io sono quello che dovrebbe sapere
Sono quello di cui non puoi fidarti
Si sono il solitario silenzioso
Sono quello lasciato nella polvere

Sono ben informato,
Sono stato bruciato dal fuoco
E ho dovuto vivere con delle promesse difficili
Ho strisciato attraverso i rovi
Sono uno che sa

Scommetto che sei il suo capolavoro
Scommetto che sei il suo autocontrollo
Sì, sei diventata il suo lascito
Il suo calmo mondo di bianco e oro
E io sono quello che dovrebbe sapere
Sono quello lasciato nella ruggine
Non uno dei tuoi amici contorti
Sono colui che non potevi amare

Sono ben informato,
Sono stato bruciato dal fuoco
E ho dovuto vivere con delle promesse difficili
Ho strisciato attraverso i rovi
Sono uno che sa

mercoledì 29 novembre 2017

Postcard Blues

Scritta da Michael Timmins per l’album “Trinity Sessions” del 1988. All’inizio la voce di Margo Timmins è accompagnata solo da quello che sembra il pulsare delle tempie, fin quando la chitarra fornisce il suo ritmo al lamento. Quando poi viene pronunciata la parola “dolore”, un armonica entra lancinante, e risponde fino alla fine al canto desolato della protagonista.


Soprattutto ora che la testa mi pulsa
E giaccio inerme nel mio letto
Anelo te e le tue mani esperte
Per alleviare questo calore bianco dalla mia testa

E ti vanteresti che conosci
Tutti i punti interiori da premere
E che potresti uccidermi con la stessa facilità
Dietro al desiderio che nascondo

Ma come tuo paziente sapevo
Che i tuoi poteri curativi sono cresciuti
Da una piaga che è molto molto più profonda
Di questo cuore dove il dolore è nato

Con la testa nuovamente chiara
Penso a parole da spedirti
Per convincerti a tornare al mio fianco
Ma ometto sempre “io ti amo”

E poi attraverso la mia porta d’ingresso
Una foto di una terra lontana
E “a… con amore” sul retro
E ancora una volta allungo la mano a prendere la mia penna


mercoledì 22 novembre 2017

These Days

“These Days” è una canzone scritta da Jackson Browne quando aveva soltanto 16 anni; fu eseguita da molti artisti nel corso degli anni, la prima incisione fu quella di Nico per il suo album di esordio come solista,“Chelsea Girl”.



Sono stata fuori a camminare
Non faccio troppe chiacchiere
In questi giorni, questi giorni
Questi giorni mi sembra di pensare tanto
A cose che ho scordato di fare
E a tutte le volte che ne ho avuto la possibilità

Ho cessato di vagare
Non gioco granché d’azzardo
Questi giorni, questi giorni
Questi giorni mi sembra di pensare
A come tutti i cambiamenti sono sopraggiunti sui miei modi
E mi domando se vedrò un’altra autostrada

Ho avuto un amante
Non credo che rischierò di nuovo
Questi giorni, questi giorni
E se sembro preoccuparmi
Di vivere la vita che ho reso canzone
È solo che è da tanto che perdo
La la la la

Ho interrotto il mio sognare
Non intendo fare troppi piani
Questi giorni, questi giorni
Questi giorni siedo su pietre d’angolo
E conto il tempo in quarti di tono fino a dieci
Vi prego non mettetemi di fronte ai miei fallimenti

Non li ho dimenticati.

venerdì 10 novembre 2017

Madame George

Torniamo ad “Astral Weeks”; il fonico Brooks Arthur ricorda: “arrivò una nuvola, chiamata le sessioni di Van Morrison, saltammo tutti su quella  nuvola, che ci portò via per un po’, e realizzammo questo album, e atterrammo quando fu finito”. Come afferma Lester Bangs nell’articolo che traduco più avanti, Madame George è probabilmente il gorgo intorno al quale vortica l’album. Van Morrison afferma di avere scritto la canzone in un flusso di coscienza, in effetti è quanto meno aleatorio attribuire significati ben precisi alle parole del brano, già a partire dalla figura del protagonista: secondo Bangs si parla di un travestito, ma Morrison ha sempre negato questa interpretazione; il titolo originale, cambiato successivamente, pare fosse Madame Joy - versione che si può ascoltare anche nel cantato stesso.



Lungo cyprus avenue
Con un’ingenua visione che balza alla vista
Il clic clac della scarpa col tacco alto
Ford & Fitzroy, madame George
Marciando col soldatino dietro
È più vecchio, ha su il cappello, beve vino
E quell’odore di profumo dolce giunge fluttuando, penetrando
La fresca aria notturna come Shalimar
E fuori stanno facendo tutte le fermate
I ragazzi fuori in strada raccolgono tappi di bottiglia
Andati per sigarette e fiammiferi nei negozi
Felicemente fregato, madame George
È in quel momento che cadi
È lì che cadi
È lì quando cadi in trance
Sedendo su un divano a giocare a soldi
Con le braccia incrociate e i libri di storia getti lo sguardo
Negli occhi di madame George
E pensi di aver trovato il sacchetto
Diventi più debole e le ginocchia cominciano a cedere
Nell’angolo a giocare a domino, in abiti femminili
il solo e unico madame George
E poi da fuori bussano alla finestra coperta di ghiaccio
Lei salta su dicendo oh misericordia di Dio, credo siano gli sbirri
E immediatamente lascia cadere tutto
Giù nella strada sotto
E sai che devi andare
Su quel treno da Dublino a Sandy Row
Buttando centesimi giù dai ponti
E la pioggia, grandine, il gelo e la neve
Dì addio a madame George
Asciuga i tuoi occhi per madame George
Chiediti il perché, per madame George
E mentre te ne vai, la stanza è piena di musica, risa, musica
Danze, musica tutt’intorno alla stanza
E i ragazzini si ripresentano, allontanandosi da tutto
Così freddo
E mentre stai per andartene
Lei salta su e dice hey amore, hai dimenticato i tuoi guanti
E l’amore che ama amare l’amore che ama amare…
Per dire addio a madame George
Asciuga i tuoi occhi per madame George
Chiediti il perché, per madame George
Asciuga i tuoi occhi per madame George
Dì addio nel vento e nella pioggia nella via laterale
Dì addio a madame George
Nella via laterale, nella via laterale, nella via laterale
Tornando a casa nella via laterale
Devi andare
Dì addio, addio, addio
Asciugati gli occhi, asciugati gli occhi, asciugati gli occhi
L’amore che ama l’amore che ama l’amore che ama…
Dì addio, addio
Sali sul treno
Sali sul treno, il treno, il treno
Questo è il treno, questo è il treno…
Dì addio


“Madame George" è il vortice dell’album. Probabilmente uno dei brani di musica più compassionevoli mai realizzati, ci chiede di vedere, no, fa in modo che noi vediamo la situazione critica di ciò che brutalmente chiamerò una drag queen disperata con una empatia di intensità tale che quando il cantante lo ferisce, lo feriamo anche noi (Morrison ha detto in almeno un’intervista che la canzone non ha niente a che vedere con qualsiasi tipo di travestito – almeno per quanto ne sa lui, aggiunge velocemente – ma sono stronzate). La bellezza, la sensibilità, la santità della canzone è che è assente ogni intento sensazionalistico, pacchiano o di sfruttamento; in un certo modo Van ha ragione insistendo che non si parla di una drag queen, come non si parla di pedofilia – si parla di una persona, come in tutte le canzoni migliori, in tutta la letteratura maggiore.

L’ambientazione è la stessa della canzone precedente – "Cyprus Avenue", apparentemente un luogo dove le persone si lasciano trascinare, spronate dal desiderio, in momenti in cui si confrontano in maniera straziante e raggelante con i propri destini. È un luogo fondamentale di giudizio spietato – vento e pioggia appaiono in entrambe le canzoni – e, il che è abbastanza interessante, è un luogo in cui adulti vengono giudicati, ancor più crudelmente, da bambini, in entrambi i casi oggetti d’amore assolutamente indifferenti ai loro aspiranti amanti maturi. I ragazzini di Madame George sono assolutamente sprezzanti – come i ragazzi di strada che alla fine cannibalizzano il cugino omosessuale in “Improvvisamente l’estate scorsa” di Tennessee Williams, sono troppo felici di presentarsi fin quando ci sono musica, feste, da bere e da fumare gratis, e troppo gioiosamente sputano sulle attenzioni di George quando tutto il resto finisce, mentre l’inverno funereo si fa strada non solo con pioggia e vento ma grandine, gelo e neve.

Quello che può sembrare più strano di tutto ma non lo è in realtà, è che sono esattamente quelle caratteristiche che dovrebbero rendere George più patetico – età, ebbrezza, il modo in cui i ragazzi accettano i suoi soldi e rifiutano il suo amore – che risvegliano qualcosa verso George nel cuore del ragazzo di questa canzone.  Ovviamente il ragazzo non si è semplicemente “innamorato dell’amore”, o cose del genere, ma piuttosto – che? Perché proprio ed esattamente soltanto sprofondato nelle perversioni più ripugnanti un essere umano potrebbe amarne un altro per un motivo diverso che non sia il loro stesso essere umani: amarlo per la sua debolezza, i suoi difetti, alla fine forse per il suo decadimento. Il decadimento è umano – questo è uno dei messaggi definitivi qui, e non intendo assolutamente, per quanto si voglia forzare il lessico, decadenza. Intendo che in questa canzone, o in qualunque cosa l’abbia ispirata, Van Morrison ha visto l’assoluta possibilità di amare essere umani all’ultimo stadio della degradazione, e che le implicazioni di ciò sono davvero terribili, molto più terribili che la mera visione di corpi resi brutti dall’età o dell’apparente assurdità di un uomo che dedica la sua vita al malriuscito artificio di perseguire l’aspetto di una donna.

Si può dire che per amare le domande devi amare le risposte che velocizzano il compimento dell’amore che è amato per amare la terribile disparità dell’esperienza umana che ama dire svettiamo su questi la perdita quell’amore di amare l’amore quella libertà avrebbe potuto essere, il treno per la libertà, ma non ci saliamo mai, piuttosto preferiamo salutare con la mano generosamente allontanandoci da coloro che sono vittime di sé stessi. Ma chi può dire che qualcuno che vittimizza sé stesso non merita una compassione totale come il più negletto orfano del terzo mondo in una pubblicità della rivista New Yorker? Noo, meglio camminare sopra i corpi, almeno questo conferisce loro il rispetto che possono avere meritato una volta. Dove vivo, a New York (non per farla più grossa di quello che è, che sarebbe duro), tutti quelli che conosco camminano spesso sopra corpi che potrebbero essere morti o stare morendo per quanto ne sanno, senza alcuno sforzo.

Ovviamente c’è una certa razionalità – che altro potresti fare – ma non regge più del nostro timore della nostra propria impotenza di fronte alla pianura della vita com’è veramente: una pianura che si estende all’infinito oltre gli orizzonti che abbiamo solo inventato. Avanti, dimenticatelo! Mentre sto scrivendo, si pubblicizza nel Village Voice che stanno aprendo club S&M eterosessuali a Manhattan, con annunci del genere: “S&M è soltanto un’altra forma di amore, altrettanto valida. Perché la gente non sa accertarlo non lo sapremo mai”. Ti fa venire voglia di saltare giù da una finestra del quinto piano piuttosto che leggerlo, ma non è certo la fine del mondo; non è neanche paragonabile ai dolori che ci affliggono dovunque ogni giorno che vengono affrontati casualmente da tutti noi come fatti della vita. Forse si riduce tutto alla misura in cui effettivamente ci si voglia assoggettare. Se si accetta anche per un solo momento l’idea che ogni vita umana è preziosa e delicata come un fiocco di neve e poi si guarda un alcolizzato nel vano della porta, devi soffrire fino a sentirti come una spugna per tutti i problemi di quegli altri stronzi, fino a che non ti senti uno stronzo tu stesso, per cui devi tracciare i confini opportuni. Arresti i sentimenti. Ma sai che in quel momento cominci a morire. E allora lotti con te stesso. Quanto di questo orrore posso permettermi di rendere oggetto dei miei pensieri? Forse  il più stupido manichino è più saggio di chi permette alla propria sensibilità di condurlo a distruggere tutto ciò che tocca – ma d’altronde inclinare un poco il cappello di madame George, solo per riconoscere che quella persona esiste, soltanto toccargli la guancia e poi probabilmente spirare perché realizzare di dovere condividere il mondo con lui è fondamentalmente insopportabile, è soltanto percorrere il primo passo. La realizzazione di vivere è semplicemente così bassa e così esaltata e così insopportabile e così desiderabile. Per favore torna e lasciami solo. Ma una volta che siamo d’accordo, possiamo parlare quanto vogliamo dell’universalità di questo abisso: non fa nessuna differenza, il maggiore corrisponde solo al minore per qualche soccorso menzognero, Unicef per parenti, per cui ti gratti e sputi e imprechi in una rassegnazione violenta di fronte alla pura verità che non c’è assolutamente nulla che tu possa fare eccetto rifiutare chiunque soffra più di te. In un tale momento, un altro respiro è un tradimento. Per questo abbandoni le tue cause liberali, lasci che l’umanità sofferente muoia in uno squallore peggiore di quanto sapessero prima che arrivassi tu. Innalzi le loro speranze. Il che ti rende più spregevole della più porca carogna. Più spregevole dei ragazzi ignoranti che fregano madame George per un paio di sigarette. Perché hai commesso il crimine della conoscenza, e pertanto non solo sei passato oltre a qualcuno che sapevi stava soffrendo, ma hai anche violato la sua privacy, l’ultima proprietà dei defraudati.

Tale conoscenza è probabilmente la peggiore cosa che possa accadere a una persona (una persona fortunata), per cui non meraviglia che il protagonista di Morrison abbia voltato le spalle a Madame George, sia fuggito alla stazione, cercando di correre lontano da quello che ha visto, più lontano di quanto il tempo di una vita potrebbe dargli. E non meraviglia neanche che Van Morrison non sia mai più giunto così vicino a guardare dritto in faccia alla vita, non meraviglia che sia poi passato a Tupelo Honey e addirittura Hard Nose the Highway con tutto il suo lato di canzoni che parlano di foglie cadenti. In Astral Weeks e in "T.B. Sheets" si è confrontato quanto basta per la vita di qualsiasi uomo.


Lester Bangs ("Stranded" 1979)

venerdì 27 ottobre 2017

Bargain

"Bargain" è una canzone scritta da Pete Townsend pubblicata per la prima volta dagli Who sul loro album del 1971 “Who’s Next”. Una canzone d’amore sebbene il destinatario sia piuttosto Dio che non una persona.



Mi perderei volentieri per trovare te
Darei via volentieri tutto quel che ho
Per trovarti, soffrirei ogni pena e ne sarei felice

Pagherei qualunque prezzo per averti
Lavorerei tutta la vita e lo farò
Per conquistarti starei nudo, lapidato e pugnalato

Lo chiamerei un affare
Il migliore che ho mai fatto
Il migliore che ho mai fatto

Mi perderei volentieri per trovarti
Darei via volentieri tutto ciò che ho
Per afferrarti, correrò senza mai fermarmi

Pagherei qualunque prezzo solo per vincerti
Cederei la mia bella vita per una cattiva
Per trovarti affogherò un uomo misconosciuto

Lo chiamerei un affare
Il migliore che ho mai fatto
Il migliore che ho mai fatto

Siedo guardandomi intorno
Guardo il mio volto allo specchio
So di non valere niente senza di te
E come uno e uno non fa due
Uno e uno fa uno
E sto cercando quella corsa gratuita per me
Sto cercando te

Mi perderei volentieri per trovarti
Darei via volentieri tutto ciò che ho
Per afferrarti, correrò senza mai fermarmi

Pagherei qualunque prezzo solo per vincerti
Cederei la mia bella vita per una cattiva
Per trovarti affogherò un uomo misconosciuto

Lo chiamerei un affare
Il migliore che ho mai fatto

Il migliore che ho mai fatto

mercoledì 18 ottobre 2017

Down All The Days

“Down All The Days” è il titolo di un romanzo di Christy Brown, autore irlandese divenuto famoso per il libro “Il Mio Piede Sinistro”, da cui nel 1989 fu tratto anche un celebre film con Daniel Day Lewis. Nello stesso anno Shane MacGowan scrive per i Pogues una canzone dallo stesso titolo che verrà pubblicata su “Peace And Love”, in omaggio allo scrittore.



Christy Brown, un pagliaccio per la città
Ora è un uomo di fama da Dingle a Down
Batto a macchina con le dita dei piedi
Tiro su stout dal naso
E dove si andrà a finire
Dio solo lo sa

Lungo tutti i giorni
Il tic-tic-ticchettio
Della macchina per scrivere paga
Lo sferragliare gentile
Dei barrocci
Percorrendo I giorni

Spesso mi sono trovato a dipendere
Dalla gentilezza di sconosciuti
Ma nessuno mi ha mai chiesto
E non ho mai risposto
Se tifavo per i Glasgow Rangers

Lungo tutti i giorni
Il tic-tic-ticchettio
Della macchina per scrivere paga
Lo sferragliare gentile
Dei barrocci
Percorrendo I giorni


mercoledì 11 ottobre 2017

Losing My Touch

Secondo Keith Richards, la canzone “parla di un tizio che è in fuga e deve dire addio, e non sa proprio come dirlo”. Brano sicuramente minore dei Rolling Stones, pubblicato come inedito in una raccolta di successi, è però molto rappresentativo dello stile di Richards, che ama molto le ballate dei grandi compositori americani del passato, come Hoagy Carmichael, e ne riprende qui lo spirito, mescolandolo con  l’iconografia del vecchio rocker in fuga. 




Non è strano, come accadono le cose?
Proprio quando pensiamo di aver chiarito tutto
Tutto sembra procedere
Ma invece ce ne stiamo seduti qui ad attendere

Sembra che le cose siano sotto controllo
Sguardi nervosi tutto intorno
Tutti si esprimono sussurrando
Nessuno vuole fare rumore

Sto perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco, perfino troppo
Tirami fuori di qua, dovrebbe essere sicuro

Tieni d’occhio la porta principale, bambina
Io sparirò da quella posteriore
Ho bisogno solo di un poco, un poco di soldi per il taxi
E poi ti lascerò andare a nanna

Perché sto perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco, perfino troppo
Tirami fuori di qua, dovrebbe essere sicuro

Non ci vorrà troppo tempo, bambina
Ma solo quello che serve
Devo raccogliere i miei passaporti
E devo prendere la mia roba

Perché sto perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco, perfino troppo

Bambina, tirami fuori di qua

mercoledì 4 ottobre 2017

Ripple

Come di consueto per le canzoni composte da Garcia, le parole sono di Robert Hunter. Traduco anche un articolo su “The Ripple” scritto da Jim Beviglia per American Songwriter.





Se le mie parole risplendessero con l’oro della luce del sole
E le mie melodie fossero suonate sull’arpa priva di corde
Sentiresti la mia voce arrivare attraverso la musica?
La terresti vicina a te come se fosse la tua?

È un’idea di seconda mano, i pensieri sono spezzati
Forse sarebbe meglio non esprimerli col canto
Non lo so, non mi importa veramente
Lasciamo che siano canzoni a riempire l’aria

Un’increspatura nell’acqua calma
Senza che sia stato tirato un sasso
O che soffi vento

Allunga la tua mano se la tua coppa è vuota
Se la tua coppa è piena possa esserlo ancora
Lascia che si risappia che c’è una fontana
Che non è stata costruita da mano d’uomo

C’è una strada, non una semplice via maestra
Tra l’alba e l’oscurità della notte
E se ci vai potrebbe non seguirti nessuno
Il percorso è soltanto per i tuoi passi

Un’increspatura nell’acqua calma
Senza che sia stato tirato un sasso
O che soffi vento

Tu che scegli di condurre devi seguire
Ma se cadi cadrai da solo
Se dovessi alzarti chi ti guiderà allora?
Se conoscessi la strada ti porterei a casa



Come conseguenza di una meritatissima reputazione come predominante live act della loro epoca, è comprensibile che le registrazioni in studio dei Grateful Dead possano rimanere in qualche modo oscurate. Seguendo la stessa linea di pensiero, l’abilità di scrittura della band, che spesso si riduce alla musica di Jerry Garcia e alle parole di Robert Hunter, non sempre riceve la considerazione che merita.

Eppure, nel 1970, i Dead pubblicarono a pochi mesi di distanza uno dall’altro una coppia di album che sembravano catturare l’irrequietezza di un’intera generazione disancorata dei propri ideali e agirono come un balsamo per lenire tali delusioni. Workingman’s Dead fu seguito rapidamente da American Beauty e da quest’ultimo album provenne “Ripple”, forse la quintessenza sia della delicata magia raggiunta in studio dalla band sia della collaborazione tra Garcia e Hunter.
Quando Rolling Stone chiese a Hunter di nominare un testo di cui fosse particolarmente fiero, rispose: “Let it be known there is a fountain/ That was not made by the hands of men,” un verso da “Ripple.” “Probabilmente il verso preferito tra quelli che io abbia mai scritto, che mi sia mai venuto in mente. E ci credo, sai?”

Versi come quelli erano scritti su misura per Garcia, che poteva esprimere profondità inebrianti come quelle con uno scintillio nella propria voce, mantenendole ancorate al suolo quando avrebbero potuto facilmente fluttuare via nell’etere. Per “Ripple” Garcia costruì una melodia che era pura e umile, venata di una leggera tristezza. Hunter ricorda quando il suo vecchio amico arrivò con la musica da abbinare alle parole: “Eravamo in Canada, in quel viaggio in treno [il Festival Express, 1970]  e una mattina il treno si fermò e Jerry era seduto sui binari non troppo lontano, all’alba, che musicava “Ripple”. Questo è un bel ricordo”.

In studio, la band accarezzò la canzone con la gentilezza di un amante. La chitarra acustica di Garcia è il tenero cuore della canzone, mentre la sezione ritmica di Phil Lesh e Bill Kreutzmann la sospinge dolcemente in avanti. Quando arrivarono a “Ripple” su American Beauty, i Dead avevano perfezionato definitivamente le armonie usate pesantemente su Workingman’s Dead. Le voci di insieme su “Ripple” forniscono conforto quando le parole evocano disagio.

Hunter fornisce versi che evocano saggezza cosmica e serenità senza ignorare l’oscurità ai margini presente anche nelle vite più fortunate. La canzone allude a differenti religioni e filosofie, dalle implicazioni della cristianità nei versi che parlano di coppe piene e riempite, che richiamano il salmo 23, al koan buddista del ritornello. Quest’ultimo addirittura rompe lo schema di rime relativamente convenzionale delle strofe per formare un haiku, un altro esempio in cui l’Oriente incontra l’Occidente nel brano.

La canzone si apre con Garcia che esprime la propria opinione sul potere della musica, o per meglio dire sulla mancanza di esso. Anche se le sue parole risplendessero e fossero maestosamente spinte attraverso l’aria su un’arpa senza corde, non v’è certezza di un loro positivo impatto sull’ascoltatore. Ciò nonostante, per inciso, ammette anche che il mondo è migliore per la presenza della musica: “I don’t know, don’t really care/ Let there be songs to fill the air.”

Nella seconda strofa, si raggiunge una maggiore sobrietà, con il narratore che, dopo avere augurato buone novelle e coppe piene al suo uditorio, grazie alla fontana magica, li avverte di una “strada, non una semplice via maestra, tra l’alba e l’oscurità della notte”. Sul suo cammino il viaggiatore non potrà godere di alcuna compagnia: “quel percorso è soltanto per i tuoi passi.”

Mentre questi misteri irrisolvibili ancora aleggiano, il ritornello irrompe e il mandolino suonato da David Grisman sembra sospendere la canzone a mezz’aria in modo che Garcia possa esprimere l’immaginario incredibilmente bello del ritornello: “Ripple in still water/ When there is no pebble tossed/ Nor wind to blow.” Possiamo considerare quei versi, le loro contraddizioni intrinseche una facile partita per l’abilità necessaria a trasmetterli in musica.

La strofa finale ritorna a toccare una corda infausta, ma l’ultimo verso fornisce un po’ di consolazione. “If I knew the way, I would take you home,” canta Garcia. Che il narratore fornirebbe assistenza se potesse, è tutto il soccorso che può dare al suo compagno, e in qualche modo ciò è sufficiente. In questo mondo difficile, deve essere così.

E se devi percorrere la strada da solo, c’è sempre la musica da portare con sé come compagnia, come sembra suggerire il conclusivo coro del “la-da” finale. I Grateful Dead hanno suonato “Ripple” nei loro spettacoli “Fare Thee Well”, e sebbene il tentativo sia riuscito bene, non avrebbe mai potuto eguagliare la versione originale su American Beauty. Forse perché Jerry Garcia era presente solo in spirito. O forse semplicemente la perfezione raggiunta da “Ripple” in sala di registrazione non poteva essere migliorata, nemmeno dalla live band migliore del mondo.

Jim Beviglia




mercoledì 27 settembre 2017

No Promise Have I Made

Grant Hart (1961 - 2017) era una delle due metà creative degli Hüsker Dü. Gli argomenti da lui scelti per i suoi testi, che spaziavano dall'alienazione adolescenziale di “Standing by the Sea” alla descrizione di un omicidio efferato in “Diane”, contribuirono ad allargare il campo delle tematiche del hardcore punk, così come il gruppo portò tale genere in una dimensione diversa e più profonda. Tra i suoi contributi al disco “Candy Apple Grey”, pubblicato nel 1986, c’è questa gemma melodica e grintosa.



Se potessi cambiare idea, che cosa cambierebbe?
Se potessi farti cambiare, questo non cambierebbe nulla
Beh ora lo sai e non dovresti avere paura
Nessuna promessa ho fatto

Raccontami una storia, raccontami solo un’altra menzogna
Beh posso dire che stabilisci alte aspettative
Ora ho fronteggiato te guardandomi in faccia tradito
Nessuna promessa ho fatto

C’è del verde e c’è del bianco e c’è dell’oro
Ma colori più brillanti ti ho lasciato da osservare
È la tua buona sorte, c’è una fortuna da pagare
Nessuna promessa ho fatto



mercoledì 20 settembre 2017

Good Fortune


Dal disco “Stories from the City, Stories from the Sea” di P. J. Harvey. Una canzone sulla fine di una storia. O sul confine che pare di percorrere alla fine di una relazione. Non necessariamente triste, anzi quasi euforica. Ogni verso descrive i piaceri dell’amore, mentre il ritornello esprime il dolore e il desiderio di fuggire quando le cose non vanno proprio secondo i piani. Nella leggerezza liberatoria di una fuga.



Ho buttato la mia malasorte
Giù dalla cima di
Un alto palazzo
Avrei preferito farlo con te

Il tuo sorriso da ragazzo
Cinque di mattina
Guardavo nei tuoi occhi
Ed ero veramente innamorata

A Chinatown
In sospeso
Mi mostrasti
Ciò che potevo fare

Parlando
Di viaggi nel tempo
E del significato
Semplicemente quello che valeva

E mi sento
Come un qualche uccello del paradiso
La mia malasorte scivola via
E provo l’innocenza di un bambino
Tutti hanno qualcosa di buono da dire

Cose che una volta pensavo
Incredibili
Nella mia vita
Hanno tutte avuto luogo

Quando camminavamo per
Little Italy
vedevo il mio riflesso
Venire fuori dal tuo volto

Dipingo quadri
Per ricordare
Sei troppo bello
Per esprimerlo in parole

Come un gitano
Danzi in circoli
Tutto intorno a me
E tutto intorno al mondo

E mi sento
Come un qualche uccello del paradiso
La mia malasorte scivola via
E provo l’innocenza di un bambino
Tutti hanno qualcosa di buono da dire

E mi sento
Come un qualche uccello del paradiso
La mia malasorte scivola via
E provo l’innocenza di un bambino
Tutti hanno qualcosa di buono da dire

Così prendo la mia
Buona sorte
E fantastico
Delle nostra partenza
Come  qualche moderna
Frana zingara
Come Bonnie e Clyde
Dei tempi moderni

Di nuovo in fuga
Di nuovo in fuga
Di nuovo in fuga

Di nuovo in fuga

mercoledì 13 settembre 2017

The Old Main Drag

Il protagonista della canzone narra della propria vita di reietto trascorsa tra droghe e prostituzione nel quartiere a luci rosse di Londra, "The Old Main Drag" appunto. Per il testo Shane MacGowan attinge anche dalle sue proprie esperienze, almeno per quanto riguarda la brutalità della polizia. Da quanto racconta nella sua biografia A Drink with Shane MacGowan, arrestato una sera per avere apparentemente rubato una sedia da un pub, fu picchiato duramente per venti minuti in una cella di detenzione. 
La canzone è tratta da "Rum, Sodomy and the Lash", secondo album dei Pogues, prodotto da Elvis Costello.




Quando per la prima volta arrivai a Londra avevo solo sedici anni
Con una banconota da cinque in tasca e la mia vecchia sacca da ballo
Scesi giù a Piccadilly per dare un’occhiata
E molto presto mi ritrovai sulla Old Main Drag

Là i maschioni e i travestiti si pavoneggiavano in tiro
E il vecchio con i soldi ti lanciava un sorriso
Nell’oscurità di un vicolo ti davi da fare per cinque sterline
Per un lavoretto veloce di mano giù nella Old Main Drag

Nelle freddi notte d’inverno la vecchia città era congelata
Ma c’erano ragazzi nei caffè che ti davano pillole da pochi soldi
Se non avevi i soldi cercavi di persuaderli o imploravi
C’era sempre tanto Tuinol sulla Old Main Drag

Una sera mentre me ne stavo coricato a Leicester Square
Fui portato via dagli sbirri a calci nelle palle
Tra le porte di metallo a Vine Street fui percosso e maltrattato
E mi rovinarono il mio bell’aspetto per la Old Main Drag

Nella stazione della metro I vecchi che erano all’uscita
Sbavavano e vomitavano e strisciavano e urlavano
E gli sbirri sarebbero arrivati e li avrebbero trattati malamente
E io speravo di potere scappare dalla Old Main Drag

E ora giaccio qui e ho bevuto troppo
E mi hanno cagato addosso e sputato addosso e violentato e oltraggiato
Lo so che sto morendo e vorrei potere elemosinare

Un po’ di soldi per tirarmi fuori dalla Old Main Drag 

mercoledì 6 settembre 2017

Bring 'Em All In

“Bring 'Em All In" è la canzone che dà il titolo al primo album solista di Mike Scott, pubblicato nel 1995 dopo la fine del primo fruttuoso periodo del suo gruppo The Waterboys. Distinguendosi dalla ricchezza degli arrangiamenti che contraddistingueva le sue produzioni precedenti, qui il suono è volutamente scarno, a sottolineare testi intimisti e autobiografici, in una ricerca di pace dopo i tumultuosi fasti rock appena trascorsi.



Portali tutti dentro, portali tutti dentro
Portali tutti dentro al mio cuore

Porta i pesci piccoli
Porta gli squali
Conducili dalla lucentezza
Conducili dall'oscurità

Portali tutti dentro, portali tutti dentro
Portali tutti dentro al mio cuore

Portali dalle caverne
Portali dalle altezze
Portali dalle ombre
Ergili nella luce

Portali tutti dentro, portali tutti dentro
Portali tutti dentro al mio cuore

Pòrtale fuori dalla segregazione
Tirali fuori dai magazzini
Fuori dai nascondigli
Deponili alla mia porta

Portali tutti dentro, portali tutti dentro
Portali tutti dentro al mio cuore

Portali tutti dentro, portali tutti dentro
Portali tutti dentro al mio cuore

Porta i non perdonati
Porta gli irredenti
Porta i perduti e i senza nome
Lascia che siano visti

Riportali dall’esilio
Richiamali dal sonno
Conducili al portale
Deponili ai miei piedi

Portali tutti dentro, portali tutti dentro
Portali tutti dentro al mio cuore

Portali tutti dentro, portali tutti dentro
Portali tutti dentro al mio cuore

Portali tutti dentro, portali tutti dentro
Portali tutti dentro al mio cuore


mercoledì 30 agosto 2017

Sunday Papers

Sul disco di esordio di Joe Jackson (“Look Sharp” del 1979), il testo di "Sunday Papers" critica sarcasticamente la stampa inglese e i suoi lettori, sottolineando come siano scadenti e imprecise le storie riportate dai quotidiani. Interrogato sull'argomento, così si esprimeva Jackson: “Vi sono certe pubblicazioni nel Regno Unito che si sono abbassate a un livello infimo, diventando spazzatura. E ce ne sono altre che almeno cercano ancora di mantenere una certa dignità. Ma no, non sono un grande estimatore dei media britannici in generale.”



Mamma non esce più
Sta semplicemente seduta in casa roteando gli occhi spastici
Ma ogni fine settimana attraverso la porta
Arrivano parole di saggezza dal mondo esterno

Se vuoi sapere tutto del vescovo e dell’attrice
Se vuoi sapere come diventare una stella
Se vuoi sapere delle macchie sul materasso
Puoi leggerlo nei giornali della domenica
I giornali della domenica

La sedia a rotelle della mamma sta fuori nell’atrio
Perché dovrebbe uscire se la TV è accesa?
Qualunque cosa si muova oltre queste mura
Apprenderà i fatti quando arriva la domenica
Se vuoi sapere dei pazzi rocchettari punk
Se vuoi sapere come suonare la chitarra
Se vuoi sapere di tutti gli altri idioti
Puoi leggerlo nei giornali della domenica
I giornali della domenica

Giornali della domenica, non fare domande
Giornali della domenica, non otterrai menzogne
Giornali della domenica, non sollevare obiezioni
Giornali della domenica, non hanno occhi

Il fratello sta andando in quella direzione, suppongo
Ha appena letto qualcosa, che lo ha reso cianotico
Beh non ho niente contro la stampa
Non lo pubblicherebbero se non fosse vero
Se vuoi sapere del politico gay (oh sì!)
Se vuoi sapere come guidare l’auto
Se vuoi sapere della nuova posizione sessuale
Puoi leggerlo nei giornali della domenica
I giornali della domenica

Giornali della domenica, non fare domande
Giornali della domenica, non otterrai menzogne
Giornali della domenica, non sollevare obiezioni
Giornali della domenica, non hanno occhi



mercoledì 23 agosto 2017

Ghost Town

"Ghost Town" è un singolo della band Britannica The Specials, pubblicato il 12 giugno 1981. La canzone fu per tre settimane al numero uno e per 10 settimane complessive nella top 40 delle classifiche del Regno Unito. Trattando temi quali il decadimento urbano, la deindustrializzazione, la disoccupazione e la violenza, è ricordata per essere stata un successo nello stesso periodo in cui si verificavano numerosi tumulti nelle città britanniche.
“Il senso generale che volevo trasmettere era di un destino di sciagura incombente. C’erano accordi strani, diminuiti: ad alcuni membri della band non piaceva e volevano usare gli accordi semplici adoperati per il primo album. È difficile spiegare quanto potente suonasse.”
Le rade parole tracciano solo un semplice schizzo di una visione apocalittica – i club che chiudevano, le numerose risse, la disoccupazione crescente, la rabbia che cresceva fino a livelli esplosivi. Ma tale situazione era così radicata nella psiche della nazione, che Dammers ebbe bisogno soltanto di un minimo numero di parole per dipingere il quadro.



Città Fantasma (Jerry Dammers)

Questa città sta diventando come una città fantasma
Tutti i club hanno chiuso i battenti
Questo posto sta divenendo una città fantasma
I gruppi non suoneranno più
Troppe risse sulla pista da ballo

Ti ricordi i bei vecchi tempi prima della città fantasma?
Ballavamo e cantavamo, e la musica risonava in una città fiorente

Questa città sta diventando come una città fantasma
Perché i giovani deve combattere contro sé stessi?
Il governo lascia la gioventù in disparte
Questo posto sta divenendo una città fantasma
Non è possibile trovare lavoro in questo paese
Non si può andare più avanti

La gente si sta arrabbiando
Questa città sta diventando come una città fantasma
Questa città sta diventando come una città fantasma
Questa città sta diventando come una città fantasma
Questa città sta diventando come una città fantasma


mercoledì 16 agosto 2017

Alptraum

Dal secondo album della Nina Hagen Band, “Unbehagen” (disagio) del 1979, questo brano col suo epico e inesorabile incedere accompagna e scandisce il testo della cantante berlinese, in cui lei stessa si trasforma in incubo perturbante e minaccioso, succuba distruttrice e annientatrice.





Allora, ti manco,
quando le notti sono lunghe e fredde?
Sogni di me,
in una nera caligine trepidante?

Ma io, io, io, io, io
Io sono un incubo
Arrivo, arrivo sul far del giorno
Per annientarti con lo sguardo
Ti do la caccia e non mi sfuggi,
di notte faccio di te un attentatore
un traditore,
caccio via il sudore dalla tua fronte piatta
fin nel profondo del cervello

Allora, ti manco,
quando i boccioli scoppiano?
Sogni di me,
quando mi catapulto oltre il muro come strega?

Allora, ti manco
Quando arriva il diluvio universale?
Non dovrei quindi proprio aiutarti?
Quando nessuno ti aiuta,
ma proprio nessuno ti tira su nell’Arca?

Non avere paura, su
Del resto era tutto solo un sogno
(i sogni sono schiume)
Alla chiara luce del giorno
Del resto tutto è senza peso
(i sogni sono schiume)
Solo nella notte scura e profonda
Lì ti lasci prendere dalla paura

Ma io, io, io, io, io
Io sono il tuo incubo
Di notte faccio di te un anguilla elettrica
Vibrante nelle pene dell’inferno
Ti infilzo la testa su uno spiedo
E poi te la mangia un grasso ratto
E come grasso e pingue pagliaccio
Vengo a spaccarti la faccia

Ti ammazzo mille volte
Ti ammazzo tremila volte
Ti ammazzo seimila volte
Ti ammazzo novemila volte
Ti ammazzo diecimila volte
Ti ammazzo milioni di volte
Ti ammazzo bilioni di volte
Ti ammazzo trilioni di volte

Ti do la caccia e non mi sfuggi,
di notte faccio di te un attentatore
un traditore,
caccio via il sudore dalla tua fronte piatta
fin nel profondo del cervello



mercoledì 9 agosto 2017

Ooh La La

“Ooh La La" è una canzone del 1973 dei Faces, scritta da Ronnie Lane e Ronnie Wood, e diede il titolo all’ultimo loro album in studio. La voce solista è di Wood, una rarità per il catalogo della band, dato che per lo più tale compito spettava a Rod Stewart o, più raramente, a Lane. Questi ultimi incisero entrambi una parte solista, ma il produttore propose a Wood di fare un tentativo, e fu la sua versione a essere usata per la traccia sul disco.
Le parole descrivono un dialogo tra un nonno e un nipote, dove il vecchio mette in guardia il giovane sui pericoli delle relazioni con le donne: “Povero vecchio nonno, ridevo alle sue parole, pensavo fosse un uomo amareggiato…” mentre il ritornello ripete lamentoso: “vorrei avere saputo quello che so ora, quando ero più giovane”.



Povero vecchio nonno
Ridevo a ogni sua parola
Pensavo fosse un uomo amareggiato
Parlava dei modi delle donne

Ti intrappolano, poi ti usano
Prima ancora che tu te ne accorga
Perché l’amore è cieco e tu sei fin troppo gentile
Non lasciarlo mai trapelare

Vorrei aver saputo quel che so ora
Quando ero più giovane
Vorrei aver saputo quel che so ora
Quando ero più forte

Il cancan è proprio un bello spettacolo
E ti rubano il cuore
Ma dietro il palco, quando rimetti i piedi per terra
I camerini sono grigi

Si propongono con forza e non ci vuole molto
Prima che ti facciano sentire un uomo
Ma l’amore è cieco e presto scoprirai
Che sei di nuovo solo un ragazzo

Quando vuoi le sue labbra, ottieni una guancia
Ti porta a domandarti dove sei
Se vuoi qualcosa di più ed è quasi addormentata
Allora sta brillando con le stelle

Povero nipote, non c’è niente che io possa dirti
Dovrai imparare proprio come ho fatto io
Ed è la via più dura
Ooh la la, ooh la la la yeh

Vorrei aver saputo quel che so ora
Quando ero più giovane
Vorrei aver saputo quel che so ora
Quando ero più forte


mercoledì 2 agosto 2017

Astral Weeks

Torniamo ad Astral Weeks, con il brano eponimo che apre il disco. Già dai primi versi emerge la cifra poetica che connota tutti i testi dell’album, laddove le immagini evocate suscitano sensazioni che si fondono con quelle generate dalla musica, prescindendo da una narrazione piana e descrittiva. “If I ventured in the slipstream, between the viaducts of your dreams…”, ed è proprio un flusso quello che attraversa  i brani del disco, in cui scorrono ricordi, emozioni, desideri, e si mescolano fantasie e realtà.



Se mi avventurassi nel flusso in movimento
Tra i viadotti dei tuoi sogni
Dove cerchioni mobili di acciaio si spaccano
E il canale e le strade secondarie cessano
Riusciresti a trovarmi?
Baceresti i miei occhi?
Per sdraiarmi
Tranquillamente in silenzio
Per rinascere
Per rinascere
Dal lato lontano dell’oceano
Se metto in moto le ruote
E sto con le braccia dietro di me
E spingo alla porta
Riusciresti a trovarmi?
Baceresti i miei occhi?
Per sdraiarmi
Tranquillamente in silenzio
Per rinascere
Per rinascere

Eccoti lì
Con uno sguardo di cupidigia
A parlare con Huddie Ledbetter
Mostrando quadri alla parete
Sussurando nel salone
E puntandomi contro il dito
Eccoti lì, eccoti lì
Ti stagli contro il sole, cara
Con le braccia dietro di te
E davanti i tuoi occhi
Eccoti lì
Prendendoti bene cura del tuo ragazzo
Assicurandoti che indossi vestiti puliti
Mettendogli le sue scarpette rosse
Vedo che sai che ha i vestiti puliti
Mettendogli le sue scarpette rosse
Puntandomi contro il dito
E io sono qui
Mi trovo nel tuo triste arresto
Cercando di fare del mio meglio
Guardando dritto verso di te
Dando una mano, cara
Se mi avventurassi nel flusso in movimento
Tra i viadotti dei tuoi sogni
Dove cerchioni mobili di acciaio si spaccano
E il canale e le strade secondarie cessano
Riusciresti a trovarmi?
Baceresti i miei occhi?
Per sdraiarmi
Tranquillamente in silenzio
Per rinascere
Per rinascere
Per rinascere
In un altro mondo
In un altro mondo
In un altro tempo
Ho una casa nei cieli
Non sono altro che uno straniero in questo mondo
Non sono altro che uno straniero in questo mondo
Ho una casa nei cieli
In un altro posto
Tanto lontano
Così lontano
Lassù in cielo
Lassù in paradiso
In un altro posto
In un altro tempo
In un altro posto
In un altro tempo
Lassù nei cieli
Stiamo salendo in paradiso
Stiamo salendo in paradiso
In un altro posto
In un altro tempo
In un altro posto
In un altro tempo
In un altro volto