In tedesco "übersetzen" è tradurre, ma anche traghettare; questa "strana barca" vuole quindi trasportare parole da una sponda all'altra di lingue diverse, sperando che non risentano troppo della traversata.
In prossimità del Natale di quindici anni fa moriva Joe
Strummer. Nato in Turchia e cresciuto a Londra, era dotato di una curiosità
illimitata, non solo per la musica ma per la cultura in generale e il testo di
questa canzone, una delle molte scritte successivamente al periodo con i Clash,
accorpa il continente Africano, il bebop e il grande cantante rockabilly Eddie
Cochran.
Come coi raggi x, in stile raggi x
Vedo un milione percorrere il miglio cittadino
I re della parata onorifica e i ragazzini
Mi dirà qualcuno da che parte andare?
Ci sarà qualcuno che ritornerà alla radio C.B.?
E sto contando le stelle e i pali del telegrafo
E ognuna rappresenta la speranza di un’anima
Ti viene da pensare che Dio non sarebbe così duro
Quando vedi tutti quei bambini correre
Correre nel cortile dietro casa
Su una zucca del Mississippi, con una canzone
subsahariana
Qualcuno si lamenta nel sole del Financial
District
C’è qualcuno che percepisce la distanza dal Nilo?
Voglio vivere, e voglio ballare per un po’
Farò come Eddie sul mio treno rockabilly
Sconfiggerò la tristezza, battendo a tempo di
blues sulla mia palla al piede
Oh non puoi fare una rapina a mano armata con una pistola
Be-Bop
In questi giorni vivono persone che non hanno
cuore
E non lo hanno mai avuto
Giù sul confine, percorrono tutta la strada strisciando
Per uno stralcio di vita con uno spray pulisci
tutto
C’è qualcuno che percepisce la distanza dal Nilo?
Voglio vivere, e voglio ballare per un po’
Non puoi fare una rapina a mano armata con una pistola
Be-Bop
In questi giorni vivono persone che non hanno
cuore
E non lo hanno mai avuto
Sento suonare un telefono pubblico sul miglio assassino
E verrà composto il numero, del babbeo che tira su
la cornetta,
E tutte le acque gassate che si siano mai viste
scorrere
Non si può parlare delle
collaborazioni di John Cale senza parlare di Dylan Thomas. Sarebbe un errore imbrigliare
questi due buoi insieme o far tirare il carro di Cale dal cavallo di Thomas.
Eppure, c’è una reale empatia tra il lavoro di questi due, e Dylan il Vecchio
fu chiaramente un’ispirazione per il nostro signor Cale. Un’ispirazione longeva
– molto prima di mettere in musica poemi marinari con Brian Eno, Cale stava
rubacchiando un titolo per la canzone che apre il suo disco del 1973: “Paris 1919”.
Non c’è un collegamento diretto tra il caleidoscopico racconto “A Child’s
Christmas in Wales” e la parimenti caleidoscopica canzone, soltanto uno spirito
condiviso di caustica reminiscenza relativa alle circostanze meravigliose e
comiche delle infanzie dei loro autori. Riferimenti a Dylan Thomas costellano
la canzone ("long-legged bait"), ma c’è moltissimo di Cale, con
bellissimi versi che fanno drizzare le orecchie al primo ascolto ("Ha
detto 'murdered oranges'? Sanguinavano
a bordo della nave? Huh.") ma fanno risonare emozioni ("Take down the
flags of ownership, the walls are falling down.") mantenendo una scorta di
mistero ("Sebastapol, Adrianapolis, the prayers of all combined...") E
solo per questo album Cale ha scritto parole come "The cattle graze bolt
uprightly. Seducing down the
door..."
"Just One of Those Things" è una canzone scritta da Cole Porter per il musical del 1935 Jubelee. Tra tanti artisti che la hanno interpretata ci sono anche i Pogues, i quali ne realizzarono una versione per il disco "Red Hot and Blue", tributo al compositore statunitense pubblicato nel 1990.
Era solo una di quelle cose
Soltanto una di quelle pazze avventurette
Una di quelle campane che suonano di quando in
quando
Solo una di quelle cose
È stata solo una di quelle notti
Uno di quei voli favolosi
Un viaggio fino alla luna su ali di ragnatela
Solo
una di quelle cose
Se solo ci avessimo pensato un poco prima che finisse
Quando abbiamo cominciato a dipingere la città
Ci saremmo resi conti che la nostra storia d’amore
Canzone di Tom Petty da “Hard Promises”, disco del
1981 che prende il titolo proprio da uno dei versi del testo. Anche se fu scritta
inizialmente per Stevie Nicks, la cantante scelse invece di fornire la seconda voce alla
versione cantata da Petty, che disse: “le canzoni sono tutte promesse difficili,
una promessa con cui devi trattare”.
Scritta da Michael Timmins per l’album “Trinity Sessions”
del 1988. All’inizio la voce di Margo Timmins è accompagnata solo da quello che
sembra il pulsare delle tempie, fin quando la chitarra fornisce il suo ritmo al
lamento. Quando poi viene pronunciata la parola “dolore”, un armonica entra
lancinante, e risponde fino alla fine al canto desolato della protagonista.
Soprattutto ora che la testa mi pulsa
E giaccio inerme nel mio letto
Anelo te e le tue mani esperte
Per alleviare questo calore bianco dalla mia testa
E ti vanteresti che conosci
Tutti i punti interiori da premere
E che potresti uccidermi con la stessa facilità
Dietro al desiderio che nascondo
Ma come tuo paziente sapevo
Che i tuoi poteri curativi sono cresciuti
Da una piaga che è molto molto più profonda
Di questo cuore dove il dolore è nato
Con la testa nuovamente chiara
Penso a parole da spedirti
Per convincerti a tornare al mio fianco
Ma ometto sempre “io ti amo”
E poi attraverso la mia porta d’ingresso
Una foto di una terra lontana
E “a… con amore” sul retro
E ancora una volta allungo la mano a prendere la
mia penna
“These Days” è una canzone scritta da Jackson
Browne quando aveva soltanto 16 anni; fu eseguita da molti artisti nel corso
degli anni, la prima incisione fu quella di Nico per il suo album di esordio
come solista,“Chelsea Girl”.
Sono stata fuori a camminare
Non faccio troppe chiacchiere
In
questi giorni, questi giorni
Questi
giorni mi sembra di pensare tanto
A cose che ho scordato di fare
E a tutte le volte che ne ho avuto la possibilità
Ho cessato di vagare
Non gioco granché d’azzardo
Questi
giorni, questi giorni
Questi giorni mi sembra di pensare
A come tutti i cambiamenti sono sopraggiunti sui
miei modi
E mi domando se vedrò un’altra autostrada
Ho avuto un amante
Non credo che rischierò di nuovo
Questi giorni, questi giorni
E se sembro preoccuparmi
Di vivere la vita che ho reso canzone
È solo che è da tanto che perdo
La la la la
Ho interrotto il mio sognare
Non intendo fare troppi piani
Questi giorni, questi giorni
Questi giorni siedo su pietre d’angolo
E conto il tempo in quarti di tono fino a dieci
Vi prego non mettetemi di fronte ai miei
fallimenti
Torniamo ad “Astral
Weeks”; il fonico Brooks Arthur ricorda: “arrivò una nuvola, chiamata le
sessioni di Van Morrison, saltammo tutti su quella nuvola, che ci portò via per un po’, e
realizzammo questo album, e atterrammo quando fu finito”. Come afferma Lester
Bangs nell’articolo che traduco più avanti, Madame George è probabilmente il
gorgo intorno al quale vortica l’album. Van Morrison afferma di avere scritto
la canzone in un flusso di coscienza, in effetti è quanto meno aleatorio
attribuire significati ben precisi alle parole del brano, già a partire dalla
figura del protagonista: secondo Bangs si parla di un travestito, ma Morrison
ha sempre negato questa interpretazione; il titolo originale, cambiato
successivamente, pare fosse Madame Joy - versione che si può ascoltare anche
nel cantato stesso.
Lungo cyprus avenue
Con un’ingenua visione che balza alla vista
Il clic clac della scarpa col tacco alto
Ford & Fitzroy, madame George
Marciando col soldatino dietro
È più vecchio, ha su il cappello, beve vino
E quell’odore di profumo dolce giunge fluttuando,
penetrando
La fresca aria notturna come Shalimar
E fuori stanno facendo tutte le fermate
I ragazzi fuori in strada raccolgono tappi di
bottiglia
Andati per sigarette e fiammiferi nei negozi
Felicemente fregato, madame George
È in quel momento che cadi
È lì che cadi
È lì quando cadi in trance
Sedendo su un divano a giocare a soldi
Con le braccia incrociate e i libri di storia
getti lo sguardo
Negli occhi di madame George
E pensi di aver trovato il sacchetto
Diventi più debole e le ginocchia cominciano a
cedere
Nell’angolo a giocare a domino, in abiti femminili
il solo e unico madame George
E poi da fuori bussano alla finestra coperta di
ghiaccio
Lei salta su dicendo oh misericordia di Dio, credo
siano gli sbirri
E immediatamente lascia cadere tutto
Giù nella strada sotto
E sai che devi andare
Su quel treno da Dublino a Sandy Row
Buttando centesimi giù dai ponti
E la pioggia, grandine, il gelo e la neve
Dì addio a madame George
Asciuga i tuoi occhi per madame George
Chiediti il perché, per madame George
E mentre te ne vai, la stanza è piena di musica,
risa, musica
Danze, musica tutt’intorno alla stanza
E i ragazzini si ripresentano, allontanandosi da
tutto
Così freddo
E mentre stai per andartene
Lei salta su e dice hey amore, hai dimenticato i
tuoi guanti
E l’amore che ama amare l’amore che ama amare…
Per dire addio a madame George
Asciuga i tuoi occhi per madame George
Chiediti il perché, per madame George
Asciuga i tuoi occhi per madame George
Dì addio nel vento e nella pioggia nella via
laterale
Dì addio a madame George
Nella via laterale, nella via laterale, nella via
laterale
Tornando a casa nella via laterale
Devi andare
Dì addio, addio, addio
Asciugati gli occhi, asciugati gli occhi,
asciugati gli occhi
L’amore che ama l’amore che ama l’amore che ama…
Dì addio, addio
Sali sul treno
Sali sul treno, il treno, il treno
Questo è il treno, questo è il treno…
Dì addio
“Madame George" è il vortice
dell’album. Probabilmente uno dei brani di musica più compassionevoli mai realizzati,
ci chiede di vedere, no, fa in modo che noi vediamo la situazione critica di
ciò che brutalmente chiamerò una drag queen disperata con una empatia di
intensità tale che quando il cantante lo ferisce, lo feriamo anche noi
(Morrison ha detto in almeno un’intervista che la canzone non ha niente a che
vedere con qualsiasi tipo di travestito – almeno per quanto ne sa lui, aggiunge
velocemente – ma sono stronzate). La bellezza, la sensibilità, la santità della
canzone è che è assente ogni intento sensazionalistico, pacchiano o di
sfruttamento; in un certo modo Van ha ragione insistendo che non si parla di
una drag queen, come non si parla di pedofilia – si parla di una persona, come
in tutte le canzoni migliori, in tutta la letteratura maggiore.
L’ambientazione è la stessa della
canzone precedente – "Cyprus Avenue", apparentemente un luogo dove le
persone si lasciano trascinare, spronate dal desiderio, in momenti in cui si
confrontano in maniera straziante e raggelante con i propri destini. È un luogo
fondamentale di giudizio spietato – vento e pioggia appaiono in entrambe le
canzoni – e, il che è abbastanza interessante, è un luogo in cui adulti vengono
giudicati, ancor più crudelmente, da bambini, in entrambi i casi oggetti
d’amore assolutamente indifferenti ai loro aspiranti amanti maturi. I ragazzini
di Madame George sono assolutamente sprezzanti – come i ragazzi di strada che
alla fine cannibalizzano il cugino omosessuale in “Improvvisamente l’estate
scorsa” di Tennessee Williams, sono troppo felici di presentarsi fin quando ci
sono musica, feste, da bere e da fumare gratis, e troppo gioiosamente sputano
sulle attenzioni di George quando tutto il resto finisce, mentre l’inverno
funereo si fa strada non solo con pioggia e vento ma grandine, gelo e neve.
Quello che può sembrare più
strano di tutto ma non lo è in realtà, è che sono esattamente quelle
caratteristiche che dovrebbero rendere George più patetico – età, ebbrezza, il
modo in cui i ragazzi accettano i suoi soldi e rifiutano il suo amore – che
risvegliano qualcosa verso George nel cuore del ragazzo di questa canzone. Ovviamente il ragazzo non si è semplicemente
“innamorato dell’amore”, o cose del genere, ma piuttosto – che? Perché proprio
ed esattamente soltanto sprofondato nelle perversioni più ripugnanti un essere
umano potrebbe amarne un altro per un motivo diverso che non sia il loro stesso
essere umani: amarlo per la sua debolezza, i suoi difetti, alla fine forse per
il suo decadimento. Il decadimento è umano – questo è uno dei messaggi
definitivi qui, e non intendo assolutamente, per quanto si voglia forzare il
lessico, decadenza. Intendo che in questa canzone, o in qualunque cosa l’abbia
ispirata, Van Morrison ha visto l’assoluta possibilità di amare essere umani
all’ultimo stadio della degradazione, e che le implicazioni di ciò sono davvero
terribili, molto più terribili che la mera visione di corpi resi brutti
dall’età o dell’apparente assurdità di un uomo che dedica la sua vita al
malriuscito artificio di perseguire l’aspetto di una donna.
Si può dire che per amare le
domande devi amare le risposte che velocizzano il compimento dell’amore che è
amato per amare la terribile disparità dell’esperienza umana che ama dire
svettiamo su questi la perdita quell’amore di amare l’amore quella libertà
avrebbe potuto essere, il treno per la libertà, ma non ci saliamo mai,
piuttosto preferiamo salutare con la mano generosamente allontanandoci da
coloro che sono vittime di sé stessi. Ma chi può dire che qualcuno che
vittimizza sé stesso non merita una compassione totale come il più negletto
orfano del terzo mondo in una pubblicità della rivista New Yorker? Noo, meglio
camminare sopra i corpi, almeno questo conferisce loro il rispetto che possono
avere meritato una volta. Dove vivo, a New York (non per farla più grossa di
quello che è, che sarebbe duro), tutti quelli che conosco camminano spesso
sopra corpi che potrebbero essere morti o stare morendo per quanto ne sanno,
senza alcuno sforzo.
Ovviamente c’è una certa
razionalità – che altro potresti fare – ma non regge più del nostro timore
della nostra propria impotenza di fronte alla pianura della vita com’è
veramente: una pianura che si estende all’infinito oltre gli orizzonti che
abbiamo solo inventato. Avanti, dimenticatelo! Mentre sto scrivendo, si
pubblicizza nel Village Voice che stanno aprendo club S&M eterosessuali a
Manhattan, con annunci del genere: “S&M è soltanto un’altra forma di amore,
altrettanto valida. Perché la gente non sa accertarlo non lo sapremo mai”. Ti
fa venire voglia di saltare giù da una finestra del quinto piano piuttosto che
leggerlo, ma non è certo la fine del mondo; non è neanche paragonabile ai
dolori che ci affliggono dovunque ogni giorno che vengono affrontati
casualmente da tutti noi come fatti della vita. Forse si riduce tutto alla
misura in cui effettivamente ci si voglia assoggettare. Se si accetta anche per
un solo momento l’idea che ogni vita umana è preziosa e delicata come un fiocco
di neve e poi si guarda un alcolizzato nel vano della porta, devi soffrire fino
a sentirti come una spugna per tutti i problemi di quegli altri stronzi, fino a
che non ti senti uno stronzo tu stesso, per cui devi tracciare i confini
opportuni. Arresti i sentimenti. Ma sai che in quel momento cominci a morire. E
allora lotti con te stesso. Quanto di questo orrore posso permettermi di
rendere oggetto dei miei pensieri? Forse il più stupido manichino è più saggio di chi
permette alla propria sensibilità di condurlo a distruggere tutto ciò che tocca
– ma d’altronde inclinare un poco il cappello di madame George, solo per
riconoscere che quella persona esiste, soltanto toccargli la guancia e poi
probabilmente spirare perché realizzare di dovere condividere il mondo con lui
è fondamentalmente insopportabile, è soltanto percorrere il primo passo. La
realizzazione di vivere è semplicemente così bassa e così esaltata e così
insopportabile e così desiderabile. Per favore torna e lasciami solo. Ma una
volta che siamo d’accordo, possiamo parlare quanto vogliamo dell’universalità di
questo abisso: non fa nessuna differenza, il maggiore corrisponde solo al
minore per qualche soccorso menzognero, Unicef per parenti, per cui ti gratti e
sputi e imprechi in una rassegnazione violenta di fronte alla pura verità che
non c’è assolutamente nulla che tu possa fare eccetto rifiutare chiunque soffra
più di te. In un tale momento, un altro respiro è un tradimento. Per questo
abbandoni le tue cause liberali, lasci che l’umanità sofferente muoia in uno
squallore peggiore di quanto sapessero prima che arrivassi tu. Innalzi le loro
speranze. Il che ti rende più spregevole della più porca carogna. Più spregevole
dei ragazzi ignoranti che fregano madame George per un paio di sigarette.
Perché hai commesso il crimine della conoscenza, e pertanto non solo sei
passato oltre a qualcuno che sapevi stava soffrendo, ma hai anche violato la
sua privacy, l’ultima proprietà dei defraudati.
Tale conoscenza è probabilmente
la peggiore cosa che possa accadere a una persona (una persona fortunata), per
cui non meraviglia che il protagonista di Morrison abbia voltato le spalle a
Madame George, sia fuggito alla stazione, cercando di correre lontano da quello
che ha visto, più lontano di quanto il tempo di una vita potrebbe dargli. E non
meraviglia neanche che Van Morrison non sia mai più giunto così vicino a
guardare dritto in faccia alla vita, non meraviglia che sia poi passato a Tupelo
Honey e addirittura Hard Nose the Highway con tutto il suo lato
di canzoni che parlano di foglie cadenti. In Astral Weeks e in
"T.B. Sheets" si è confrontato quanto basta per la vita di qualsiasi
uomo.
"Bargain" è
una canzone scritta da Pete Townsend pubblicata per la prima volta dagli Who
sul loro album del 1971 “Who’s Next”. Una canzone d’amore sebbene il
destinatario sia piuttosto Dio che non una persona.
Mi perderei volentieri per trovare te
Darei via volentieri tutto quel che ho
Per trovarti, soffrirei ogni pena e ne sarei
felice
Pagherei qualunque prezzo per averti
Lavorerei tutta la vita e lo farò
Per conquistarti starei nudo, lapidato e pugnalato
“Down All The Days” è il titolo di un romanzo di Christy Brown, autore irlandese divenuto famoso per il libro “Il Mio Piede Sinistro”,
da cui nel 1989 fu tratto anche un celebre film con Daniel Day Lewis. Nello
stesso anno Shane MacGowan scrive per i Pogues una canzone dallo stesso titolo che verrà
pubblicata su “Peace And Love”, in omaggio allo scrittore.
Christy Brown, un pagliaccio per la città
Ora è un uomo di fama da Dingle a Down
Secondo Keith Richards, la canzone “parla di un tizio che è
in fuga e deve dire addio, e non sa proprio come dirlo”. Brano sicuramente
minore dei Rolling Stones, pubblicato come inedito in una raccolta di successi,
è però molto rappresentativo dello stile di Richards, che ama molto le ballate
dei grandi compositori americani del passato, come Hoagy Carmichael, e ne
riprende qui lo spirito, mescolandolo con
l’iconografia del vecchio rocker in fuga.
Non è strano, come accadono le cose?
Proprio quando pensiamo di aver chiarito tutto
Tutto sembra procedere
Ma invece ce ne stiamo seduti qui ad attendere
Sembra che le cose siano sotto controllo
Sguardi nervosi tutto intorno
Tutti si esprimono sussurrando
Nessuno vuole fare rumore
Sto perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco, perfino troppo
Tirami fuori di qua, dovrebbe essere sicuro
Tieni d’occhio la porta principale, bambina
Io sparirò da quella posteriore
Ho bisogno solo di un poco, un poco di soldi per
il taxi
Come di consueto per le canzoni composte da Garcia, le
parole sono di Robert Hunter. Traduco anche un articolo su “The Ripple” scritto
da Jim Beviglia per American Songwriter.
Se le mie parole risplendessero con l’oro della
luce del sole
E le mie melodie fossero suonate sull’arpa priva
di corde
Sentiresti la mia voce arrivare attraverso la
musica?
La terresti vicina a te come se fosse la tua?
È un’idea di seconda mano, i pensieri sono
spezzati
Forse sarebbe meglio non esprimerli col canto
Non lo so, non mi importa veramente
Lasciamo che siano canzoni a riempire l’aria
Un’increspatura nell’acqua calma
Senza che sia stato tirato un sasso
O che soffi vento
Allunga la tua mano se la tua coppa è vuota
Se la tua coppa è piena possa esserlo ancora
Lascia che si risappia che c’è una fontana
Che non è stata costruita da mano d’uomo
C’è una strada, non una semplice via maestra
Tra l’alba e l’oscurità della notte
E se ci vai potrebbe non seguirti nessuno
Il percorso è soltanto per i tuoi passi
Un’increspatura nell’acqua calma
Senza che sia stato tirato un sasso
O che soffi vento
Tu che scegli di condurre devi seguire
Ma se cadi cadrai da solo
Se dovessi alzarti chi ti guiderà allora?
Se conoscessi la strada ti porterei a casa
Come conseguenza di una meritatissima reputazione come predominante
live act della loro epoca, è comprensibile che le registrazioni in studio dei
Grateful Dead possano rimanere in qualche modo oscurate. Seguendo la stessa
linea di pensiero, l’abilità di scrittura della band, che spesso si riduce alla
musica di Jerry Garcia e alle parole di Robert Hunter, non sempre riceve la
considerazione che merita.
Eppure, nel 1970, i Dead pubblicarono a pochi mesi di
distanza uno dall’altro una coppia di album che sembravano catturare l’irrequietezza
di un’intera generazione disancorata dei propri ideali e agirono come un
balsamo per lenire tali delusioni. Workingman’s Dead fu seguito rapidamente da
American Beauty e da quest’ultimo album provenne “Ripple”, forse la
quintessenza sia della delicata magia raggiunta in studio dalla band sia della
collaborazione tra Garcia e Hunter.
Quando Rolling Stonechiese
a Hunter di nominare un
testo di cui fosse particolarmente
fiero, rispose: “Let it be known there is a
fountain/ That was not made by the hands of men,” un verso da “Ripple.” “Probabilmente
il verso preferito tra quelli che io abbia mai scritto, che mi sia mai venuto
in mente. E ci credo, sai?”
Versi come quelli erano scritti su misura per Garcia, che
poteva esprimere profondità inebrianti come quelle con uno scintillio nella
propria voce, mantenendole ancorate al suolo quando avrebbero potuto facilmente
fluttuare via nell’etere. Per “Ripple” Garcia costruì una melodia che era pura
e umile, venata di una leggera tristezza. Hunter ricorda quando il suo vecchio
amico arrivò con la musica da abbinare alle parole: “Eravamo in Canada, in quel
viaggio in treno [il Festival Express,
1970] e una mattina il treno si fermò e
Jerry era seduto sui binari non troppo lontano, all’alba, che musicava
“Ripple”. Questo è un bel ricordo”.
In studio, la band accarezzò la canzone con la gentilezza di
un amante. La chitarra acustica di Garcia è il tenero cuore della canzone,
mentre la sezione ritmica di Phil Lesh e Bill Kreutzmann la sospinge dolcemente
in avanti. Quando arrivarono a “Ripple” su American Beauty, i Dead avevano
perfezionato definitivamente le armonie usate pesantemente su Workingman’s
Dead. Le voci di insieme su “Ripple” forniscono conforto quando le parole
evocano disagio.
Hunter fornisce versi che evocano saggezza cosmica e
serenità senza ignorare l’oscurità ai margini presente anche nelle vite più fortunate.
La canzone allude a differenti religioni e filosofie, dalle implicazioni della
cristianità nei versi che parlano di coppe piene e riempite, che richiamano il
salmo 23, al koan buddista del ritornello. Quest’ultimo addirittura rompe lo
schema di rime relativamente convenzionale delle strofe per formare un haiku, un
altro esempio in cui l’Oriente incontra l’Occidente nel brano.
La canzone si apre con Garcia che esprime la propria
opinione sul potere della musica, o per meglio dire sulla mancanza di esso. Anche
se le sue parole risplendessero e fossero maestosamente spinte attraverso
l’aria su un’arpa senza corde, non v’è certezza di un loro positivo impatto
sull’ascoltatore. Ciò nonostante, per inciso, ammette anche che il mondo è
migliore per la presenza della musica: “I don’t know, don’t really care/ Let
there be songs to fill the air.”
Nella seconda strofa, si raggiunge una maggiore sobrietà,
con il narratore che, dopo avere augurato buone novelle e coppe piene al suo
uditorio, grazie alla fontana magica, li avverte di una “strada, non una
semplice via maestra, tra l’alba e l’oscurità della notte”. Sul suo cammino il
viaggiatore non potrà godere di alcuna compagnia: “quel percorso è soltanto per
i tuoi passi.”
Mentre questi misteri irrisolvibili ancora aleggiano, il
ritornello irrompe e il mandolino suonato da David Grisman sembra sospendere la
canzone a mezz’aria in modo che Garcia possa esprimere l’immaginario incredibilmente
bello del ritornello: “Ripple in still water/ When there is no pebble tossed/
Nor wind to blow.” Possiamo considerare quei versi, le loro contraddizioni
intrinseche una facile partita per l’abilità necessaria a trasmetterli in
musica.
La strofa finale ritorna a toccare una corda infausta, ma
l’ultimo verso fornisce un po’ di consolazione. “If I knew the way, I would take you home,” canta
Garcia. Che il narratore fornirebbe assistenza se potesse, è tutto il
soccorso che può dare al suo compagno, e in qualche modo ciò è sufficiente. In
questo mondo difficile, deve essere così.
E se devi percorrere la strada da solo, c’è sempre la musica
da portare con sé come compagnia, come sembra suggerire il conclusivo coro del “la-da”
finale. I Grateful Dead hanno suonato “Ripple” nei loro spettacoli “Fare Thee
Well”, e sebbene il tentativo sia riuscito bene, non avrebbe mai potuto
eguagliare la versione originale su American Beauty. Forse perché Jerry
Garcia era presente solo in spirito. O forse semplicemente la perfezione
raggiunta da “Ripple” in sala di registrazione non poteva essere migliorata,
nemmeno dalla live band migliore del mondo.
Grant Hart (1961 - 2017) era una delle
due metà creative degli Hüsker Dü. Gli argomenti da lui scelti per i suoi
testi, che spaziavano dall'alienazione adolescenziale di “Standing by the Sea”
alla descrizione di un omicidio efferato in “Diane”, contribuirono ad allargare
il campo delle tematiche del hardcore punk, così come il gruppo portò tale
genere in una dimensione diversa e più profonda. Tra i suoi contributi al disco
“Candy Apple Grey”, pubblicato nel 1986, c’è questa gemma melodica e grintosa.
Se potessi cambiare idea, che cosa cambierebbe?
Se potessi farti cambiare, questo non cambierebbe
nulla
Beh ora lo sai e non dovresti avere paura
Nessuna promessa ho fatto
Raccontami una storia, raccontami solo un’altra
menzogna
Beh posso dire che stabilisci alte aspettative
Ora ho fronteggiato te guardandomi in faccia
tradito
Nessuna promessa ho fatto
C’è del verde e c’è del bianco e c’è dell’oro
Ma colori più brillanti ti ho lasciato da
osservare
Dal
disco “Stories from the City, Stories from the Sea” di P. J. Harvey. Una
canzone sulla fine di una storia. O sul confine che pare di percorrere alla fine
di una relazione. Non necessariamente triste, anzi quasi euforica. Ogni verso
descrive i piaceri dell’amore, mentre il ritornello esprime il dolore e il
desiderio di fuggire quando le cose non vanno proprio secondo i piani. Nella
leggerezza liberatoria di una fuga.
Il protagonista della canzone narra della propria vita
di reietto trascorsa tra droghe e prostituzione nel quartiere a luci rosse di Londra, "The Old Main Drag"
appunto. Per il testo Shane MacGowan attinge
anche dalle sue proprie esperienze, almeno per quanto riguarda la brutalità
della polizia. Da quanto racconta nella sua biografia A Drink with Shane
MacGowan, arrestato una sera per avere apparentemente rubato una sedia da un pub, fu
picchiato duramente per venti minuti in una cella di detenzione.
La canzone è tratta da "Rum, Sodomy and the Lash", secondo album dei Pogues, prodotto da Elvis Costello.
Quando per la prima volta arrivai a Londra avevo
solo sedici anni
Con una banconota da cinque in tasca e la mia
vecchia sacca da ballo
Scesi giù a Piccadilly per dare un’occhiata
E molto presto mi ritrovai sulla Old Main Drag
Là i maschioni e i travestiti si pavoneggiavano in
tiro
E il vecchio con i soldi ti lanciava un sorriso
Nell’oscurità di un vicolo ti davi da fare per
cinque sterline
Per un lavoretto veloce di mano giù nella Old Main
Drag
Nelle freddi notte d’inverno la vecchia città era congelata
Ma c’erano ragazzi nei caffè che ti davano pillole
da pochi soldi
Se non avevi i soldi cercavi di persuaderli o
imploravi
C’era sempre tanto Tuinol sulla Old Main Drag
Una sera mentre me ne stavo coricato a Leicester
Square
Fui portato via dagli sbirri a calci nelle palle
Tra le porte di metallo a Vine Street fui percosso
e maltrattato
E mi rovinarono il mio bell’aspetto per la Old
Main Drag
Nella stazione della metro I vecchi che erano all’uscita
Sbavavano e vomitavano e strisciavano e urlavano
E gli sbirri sarebbero arrivati e li avrebbero
trattati malamente
E io speravo di potere scappare dalla Old Main
Drag
E ora giaccio qui e ho bevuto troppo
E mi hanno cagato addosso e sputato addosso e
violentato e oltraggiato
Lo so che sto morendo e vorrei potere elemosinare
Un po’ di soldi per tirarmi fuori dalla Old Main
Drag
“Bring 'Em All In" è
la canzone che dà il titolo al primo album solista di Mike Scott, pubblicato nel 1995 dopo la
fine del primo fruttuoso periodo del suo gruppo The Waterboys. Distinguendosi
dalla ricchezza degli arrangiamenti che contraddistingueva le sue produzioni
precedenti, qui il suono è volutamente scarno, a sottolineare testi intimisti e
autobiografici, in una ricerca di pace dopo i tumultuosi fasti rock appena
trascorsi.
Sul disco di esordio di Joe Jackson (“Look Sharp” del 1979),
il testo di "Sunday Papers" critica sarcasticamente la stampa inglese
e i suoi lettori, sottolineando come siano scadenti e imprecise le storie
riportate dai quotidiani. Interrogato sull'argomento, così si esprimeva
Jackson: “Vi sono certe pubblicazioni nel Regno Unito che si sono abbassate a
un livello infimo, diventando spazzatura. E ce ne sono altre che almeno cercano
ancora di mantenere una certa dignità. Ma no, non sono un grande estimatore dei
media britannici in generale.”
Mamma
non esce più
Sta semplicemente seduta in casa roteando gli
occhi spastici
Ma ogni fine settimana attraverso la porta
Arrivano parole di saggezza dal mondo esterno
Se vuoi sapere tutto del vescovo e dell’attrice
Se vuoi sapere come diventare una stella
Se vuoi sapere delle macchie sul materasso
Puoi leggerlo nei giornali della domenica
I giornali della domenica
La sedia a rotelle della mamma sta fuori nell’atrio
Perché dovrebbe uscire se la TV è accesa?
Qualunque cosa si muova oltre queste mura
Apprenderà i fatti quando arriva la domenica
Se vuoi sapere dei pazzi rocchettari punk
Se vuoi sapere come suonare la chitarra
Se vuoi sapere di tutti gli altri idioti
Puoi leggerlo nei giornali della domenica
I giornali della domenica
Giornali della domenica, non fare domande
Giornali della domenica, non otterrai menzogne
Giornali della domenica, non sollevare obiezioni
Giornali della domenica, non hanno occhi
Il fratello sta andando in quella direzione,
suppongo
Ha appena letto qualcosa, che lo ha reso cianotico
Beh non ho niente contro la stampa
Non lo pubblicherebbero se non fosse vero
Se vuoi sapere del politico gay (oh sì!)
Se vuoi sapere come guidare l’auto
Se vuoi sapere della nuova posizione sessuale
Puoi leggerlo nei giornali della domenica
"Ghost Town" è un singolo della band Britannica
The Specials, pubblicato il 12 giugno 1981. La canzone fu per tre settimane al
numero uno e per 10 settimane complessive nella top 40 delle classifiche del
Regno Unito. Trattando temi quali il decadimento urbano, la
deindustrializzazione, la disoccupazione e la violenza, è ricordata per essere
stata un successo nello stesso periodo in cui si verificavano numerosi tumulti
nelle città britanniche.
“Il senso generale che volevo trasmettere era di
un destino di sciagura incombente. C’erano accordi strani, diminuiti: ad alcuni
membri della band non piaceva e volevano usare gli accordi semplici adoperati
per il primo album. È difficile spiegare quanto potente suonasse.”
Le rade parole tracciano solo un semplice schizzo
di una visione apocalittica – i club che chiudevano, le numerose risse, la
disoccupazione crescente, la rabbia che cresceva fino a livelli esplosivi. Ma
tale situazione era così radicata nella psiche della nazione, che Dammers ebbe
bisogno soltanto di un minimo numero di parole per dipingere il quadro.
Città
Fantasma (Jerry Dammers)
Questa città sta diventando come una città
fantasma
Tutti i club hanno chiuso i battenti
Questo posto sta divenendo una città fantasma
I gruppi non suoneranno più
Troppe risse sulla pista da ballo
Ti ricordi i bei vecchi tempi prima della città
fantasma?
Ballavamo e cantavamo, e la musica risonava in una
città fiorente
Questa città sta diventando come una città fantasma
Perché i giovani deve combattere contro sé stessi?
Il governo lascia la gioventù in disparte
Questo posto sta divenendo una città fantasma
Non è possibile trovare lavoro in questo paese
Non si può andare più avanti
La gente si sta arrabbiando
Questa città sta diventando come una città fantasma
Questa città sta diventando come una città
fantasma
Questa città sta diventando come una città
fantasma
Questa città sta diventando come una città
fantasma
Dal secondo album della Nina Hagen Band, “Unbehagen”
(disagio) del 1979, questo brano col suo epico e inesorabile incedere accompagna e scandisce il testo della cantante berlinese, in cui lei stessa si trasforma in incubo
perturbante e minaccioso, succuba distruttrice e annientatrice.
Allora, ti manco,
quando le notti sono lunghe e fredde?
Sogni di me,
in una nera caligine trepidante?
Ma io, io, io, io, io
Io sono un incubo
Arrivo, arrivo sul far del giorno
Per annientarti con lo sguardo
Ti do la caccia e non mi sfuggi,
di notte faccio di te un attentatore
un traditore,
caccio via il sudore dalla tua fronte piatta
fin nel profondo del cervello
Allora, ti manco,
quando i boccioli scoppiano?
Sogni di me,
quando mi catapulto oltre il muro come strega?
Allora, ti manco
Quando arriva il diluvio universale?
Non dovrei quindi proprio aiutarti?
Quando nessuno ti aiuta,
ma proprio nessuno ti tira su nell’Arca?
Non avere paura, su
Del resto era tutto solo un sogno
(i sogni sono schiume)
Alla chiara luce del giorno
Del resto tutto è senza peso
(i sogni sono schiume)
“Ooh La La" è una
canzone del 1973 dei Faces, scritta da Ronnie Lane e Ronnie Wood, e diede il
titolo all’ultimo loro album in studio. La voce solista è di Wood, una rarità
per il catalogo della band, dato che per lo più tale compito spettava a Rod
Stewart o, più raramente, a Lane. Questi ultimi incisero entrambi una parte
solista, ma il produttore propose a Wood di fare un tentativo, e fu la sua
versione a essere usata per la traccia sul disco.
Le parole descrivono un
dialogo tra un nonno e un nipote, dove il vecchio mette in guardia il giovane
sui pericoli delle relazioni con le donne: “Povero vecchio nonno, ridevo alle
sue parole, pensavo fosse un uomo amareggiato…” mentre il ritornello ripete
lamentoso: “vorrei avere saputo quello che so ora, quando ero più giovane”.
Povero vecchio nonno
Ridevo a ogni sua parola
Pensavo fosse un uomo amareggiato
Parlava dei modi delle donne
Ti intrappolano, poi ti usano
Prima ancora che tu te ne accorga
Perché l’amore è cieco e tu sei fin troppo gentile
Non lasciarlo mai trapelare
Vorrei aver saputo quel che so ora
Quando ero più giovane
Vorrei aver saputo quel che so ora
Quando ero più forte
Il cancan è proprio un bello spettacolo
E ti rubano il cuore
Ma dietro il palco, quando rimetti i piedi per
terra
Torniamo ad Astral
Weeks, con il brano eponimo che apre il disco. Già dai primi versi emerge la
cifra poetica che connota tutti i testi dell’album, laddove le immagini evocate
suscitano sensazioni che si fondono con quelle generate dalla musica,
prescindendo da una narrazione piana e descrittiva. “If I ventured in the
slipstream, between the viaducts of your dreams…”, ed è proprio un flusso
quello che attraversa i brani del disco,
in cui scorrono ricordi, emozioni, desideri, e si mescolano fantasie e realtà.