sabato 25 febbraio 2023

Uncle John's Band

Di David Dodd, dal sito: www.dead.net

In diverse comunità degli Stati Uniti, quest’anno, intere città e contee stanno partecipando all’evento “Big Read”, e in tali occasioni capita che vengano lette poesie di Emily Dickinson. Qui dove io vivo, Sonoma County, California, il mese di Marzo quest’anno è dedicato proprio a Emily Dickinson.

L’autrice scrisse questi versi nella sua poesia catalogata al numero 478:

I had no time to Hate -                        Per l’Odio non avevo tempo
Because                                               Perché
The Grave would hinder Me -            La Tomba mi era d’impaccio –
And Life was not so                            E la Vita non era tanto
Ample I                                               Ampia da poter
Could finish - Enmity -                       Portare a termine – l’Inimicizia –

Nor had I time to Love -                     Neanche per l’Amore avevo tempo –
But since                                             Ma dato che
Some Industry must be -                     In qualcosa bisogna pur Industriarsi –
The little Toil of Love -                       La piccola Fatica dell’Amore –
I thought -                                           M’è parsa
Be large enough for Me –                   Abbastanza grande per Me –

(traduzione di Riccardo Duranti)

Ain’t no time to hate. Barely time to wait. And, where does the time go, anyway?

Non ho tempo per odiare. A malapena ho tempo di aspettare. E, in ogni modo, dove va il tempo?

“Uncle John’s Band” è una di quelle composizioni a firma Robert Hunter / Jerry Garcia che comprendono uno spazio sufficientemene grande da considerare l’universo, e le nostre vite nell’universo – o meglio sembra essere un universo essa stessa. Dai versi di apertura, che possono agire sia da avvertimento sia da incoraggiamento, fino al suo gentile invito “vieni con me”, la canzone risuona nelle nostre vite con una certa continuità, se lo vogliamo.

Hunter il cantastorie può anche essere Hunter l’aforista—colui che crea brillanti frasette  a doppio taglio che ci aiutano e ci perseguitano mentre attraversiamo le nostre vite barcollando. Come accade in Shakespeare, le sue frasi possono essere facilmente estrapolate dal loro contesto e usate come motti o ammonimenti; rassicurazioni o affermazioni ardite, a seconda delle necessità di un dato momento. Forse avete provato l’esperienza di sentire un verso di Hunter in un modo nuovo, in una forma calzante a quel particolare momento o evento nella vostra vita. A me è successo molte volte – un verso improvvisamente mi salta addosso e mi angoscia, o mi abbraccia, o mi stupisce in un modo nuovo.

“Uncle John’s Band” è uno di quei testi completamente aperti che hanno offerto molte interpretazioni (inclusa una meravigliosamente faceta dello stesso Hunter – qualcosa riguardante formiche da circo ammaestrate, mi pare di ricordare …).  Uno dei momenti di maggior fierezza come chiosatore di testi dei Grateful Dead fu quando ricevetti una e-mail da Hunter che mi diceva di come fossi assolutamente nel giusto nella direzione scelta per le mie note ad “Uncle John’s Band.” Fu quando stavo esplorando le possibili origini della canzone nell’opera e nei componenti dei New Lost City Ramblers, la meravigliosa band d’altri tempi di cui facevano parte Mike Seeger, John Cohen, e Tom Paley. “Uncle John” era un soprannome di Cohen, e Hunter e Garcia erano ambedue ammiratori che videro la band suonare diverse volte.

Blair Jackson una volta scrisse qualcosa sull’impressione che “Uncle John’s Band” è la canzone. Ho pensato molto a tale affermazione nel corso degli anni, e penso di sapere che cosa intendeva. Quando i Dead la suonavano, la folla giungeva a una coesione incredibile. Eravamo dentro a quella band: stavamo arrivando per ascoltare la band di Uncle John sulla riva del fiume. Amavamo quando le parole venivano sbagliate, e poi il verso “come è che fa la canzone?” ci balzava addosso. Jerry che rideva dei suoi propri pasticci, tutti che sorridevano sul palco prima di darci dentro e buttarsi in quella stupefacente jam dal suono bulgaro – un improvviso cambio di rotta dalla familiare musica folk al reame incantato e rischioso dei tempi composti e delle scale modali. Tutto ciò che erano i Dead, sembrava, poteva essere avvolto e impacchettato in quella canzone. Bellezza e pericolo, tutto vorticava insieme. E poi, da quella oscura jam vorticosa emergeva il ritornello: “Come hear Uncle John’s Band….”: e di nuovo era tempo di campeggio intorno al fuoco. Mani che battono a tempo, la folla diventa la sezione ritmica. E poi di nuovo verso qualche altra canzone…

Decisamente ballabile, la melodia portava  ogni volta l’intera folla a fresche altezze di felicità. Ed è così cantabile!

Non è grande che i corvi raccontino la storia della vita e della morte? (Ci penso ogni volta che vedo un corvo).

E che dire di quelle pareti fatte di palle di cannone? Noi americani ne siamo fieri, o lo disprezziamo?

E dove era quella miniera d’argento? Siete bloccati in una di esse?

In ogni caso non importa: non c’è tempo per odiare. Secondo me, se c’è una sola lezione da tutta la poetica di Hunter, è quella. Egli la approccia da diverse angolazioni, ma per me si arriva sempre a quello. “Se non ce’è amore nel sogno, esso non si avvererà mai”.

Grazie, Emily, e grazie, Hunter.

Ti giri ancora — ci provi. Posso sentire la tua voce …

Parole di Robert Hunter; musica di Jerry Garcia


Bé, i primi giorni sono i più duri

Non preoccuparti più

Quando la vita sembra tutta rose e fiori

C’è un pericolo alla porta

Riflettici su a fondo con me

Fammi sapere che ne pensi

Wo-oh, quel che voglio sapere è

Sei gentile?

 

È una scelta da danzatore solitario, amico mio

Faresti meglio a seguire il mio consiglio,

A questo punto conosci tutte le regole

E sai distinguere il fuoco dal ghiaccio

Verrai con me?

Non verresti con me?

Oh quel che voglio sapere

È se verrai con me

 

Maledizione, ora dichiaro

Hai visto una cosa del genere?

I loro muri sono fatti di palle da cannone,

il loro motto è “non calpestarmi”

vieni ad ascoltare la band dello zio John

sulla riva del fiume

Ho alcune cose di cui parlarti

Qui, accanto alla marea che sale

 

È la stessa storia che mi ha raccontato il corvo

È l’unica che conosce

Arrivi come il sole mattutino

E come il vento te ne vai

Non è tempo di odiare

A mala pena tempo di aspettare

Wo-oh quel che voglio sapere è

Dove va il tempo?

 

Vivo in una miniera d’argento

E la chiamo “Tomba del Mendicante”
mi sono procurato un violino

E ti prego conduci le danze

La scelta di  ognuno

Posso udire la tua voce

Wo-oh quel che voglio sapere è

Come è che fa la canzone?

 

Vieni e ascolta la band di Uncle John

Sulla riva del fiume

Vieni con me o vai da solo

Egli è venuto per portare a casa i suoi bambini

Vieni e ascolta la band di Uncle John

Che suona alla marea

Vieni anche tu con noi o vai da solo

Egli è venuto per portare a casa i suoi bambini

martedì 7 febbraio 2023

Madame Geneva's

Tratto da un articolo di Cindy Hunter Morgan:

The Dens of Gin Lane: Mark Knopfler’s “Madame Geneva’s”

Pubblicato su singout.org  

Da un punto di vista narrativo, la canzone è costruita in forma di monologo drammatico per la voce di un tormentato scrittore di ballate che frequenta “le tane di Gin Lane.” Con i suoi riferimenti a volantini, tipografi, impiccagioni, acciottolati e bare, la canzone appare collocata esattamente nell’Inghilterra di Hogarth, all’epoca in cui divampava l’epidemia di abuso del gin.

L’incisione di Hogarth del 1751 nota col titolo di Gin Lane può benissimo essere stata usata come ispirazione ecfrastica per Knopfler. Guardando più da vicino si può vedere molto: un prestatore su pegno, un distillatore, una donna sifilitica con un bambino che le casca dal grembo, un’altra donna che versa gin nella gola di un bambino, una folla violenta, un uomo che contende un osso a un cane, un morto nel mezzo del vicolo, un uomo che penzola da un trave, un camino in rovina e una chiesa distante (troppo distante per essere utile?). Nell’angolo in basso a sinistra, da notare l’insegna sulla porta della cantina: “Ubriaco per un penny, ubriaco fradicio per due penny, paglia pulita gratis”. E lì, sulla destra in basso, trovate un cantore di ballate morente.

Da un punto di vista narrativo, la canzone è costruita in forma di monologo drammatico per la voce di un tormentato scrittore di ballate che frequenta “le tane di Gin Lane.” Con i suoi riferimenti a volantini, tipografi, impiccagioni, acciottolati e bare, la canzone appare collocata esattamente nell’Inghilterra di Hogarth, all’epoca in cui divampava l’epidemia di abuso del gin.

L’incisione di Hogarth del 1751 nota col titolo di Gin Lane può benissimo essere stata usata come ispirazione ecfrastica per Knopfler. Guardando più da vicino si può vedere molto: un prestatore su pegno, un distillatore, una donna sifilitica con un bambino che le casca dal grembo, un’altra donna che versa gin nella gola di un bambino, una folla violenta, un uomo che contende un osso a un cane, un morto nel mezzo del vicolo, un uomo che penzola da un trave, un camino in rovina e una chiesa distante (troppo distante per essere utile?). Nell’angolo in basso a sinistra, da notare l’insegna sulla porta della cantina: “Ubriaco per un penny, ubriaco fradicio per due penny, paglia pulita gratis”. E lì, sulla destra in basso, trovate un cantore di ballate morente.



“Madame Geneva” naturalmente si riferisce al gin (“gin” proviene dal francese genièvre e dall’olandese jenever – entrambe parole che indicano il ginepro, la bacca usata per questa bevanda), ma in questa canzone diviene anche un luogo, il cantore di ballate è nella bevanda , quando Knopfler canta “mi troverai dentro a Madame Geneva’s”,  non solo sta bevendo gin, ma vi è immerso. Usato come il nome di un bar, sembra anche essere un riferimento più generico a “Gin Lane”, il quartiere dei bassifondi di St Giles Parish a Londra descritto da Hogarth. Specificatamente è l’area vicina a Seven Dials resa famosa da molti autori, tra cui Charles Dickens, John Keats, e Agatha Christie. Keats lo descrisse come un luogo “dove la miseria si stringe alla miseria per scaldarsi un po’, e povertà e malattia giacciono fianco a fianco unendo il loro lamento.”

Il ritratto del cantore di ballate è sobrio e delicato, riservato e rivelatore – e molto trascendente. Sì una canzone che parla di uno scrittore di ballate è trascendente, ma questa in particolare lo è eccezionalmente. Essa sfrutta una risposta emotiva a sé stessa, il che significa che essa provoca inevitabilmente  una risposta al suono di sé stessa – la voce e la musica di Knopfler. Ma la canzone a cui risponde è nella mente di qualcun altro (l’immaginario autore di ballate) che usa l’arte per sfruttare una risposta emotiva da coloro che acquistano i suoi volantini da un penny. La canzone racconta in dettaglio la sofferenza di un autore di ballate che scrive delle confessioni e dei peccati di chi è condannato alla forca, ma nella canzone udiamo la confessione dell’autore stesso.

Per alcuni secoli, approssimativamente dal sedicesimo secolo fino alla metà del diciannovesimo, gli scrittori di ballate usavano volantini per vendere nelle strade notizie relative a crimini ed esecuzioni. Vendevano questi opuscoli proprio sotto alle forche nei giorni di impiccagione, per un penny a foglio. I volantini erano colmi di errori – errori di stampa ma anche resoconti falsi. Le confessioni spesso erano costruite, e i volantini frequentemente contenevano contenuti riciclati e immagini “di repertorio” per crimini diversi (in realtà notizie false). I venditori ambulanti cantavano versi per promuovere la propria merce; musicalmente le ballate in genere imitavano gli inni, il che le rendeva facili da cantare e da ricordare. Ovviamente ciò è molto ironico, come spesso avviene quando forme antiche sono adattate a nuovi scopi.

In “Madame Geneva’s” ascoltiamo Knopfler che interpreta la parte di un autore di ballate che scola gin per tenere “alla larga i demoni”; l’uomo è perseguitato dalla propria opera e probabilmente è colpevole di avere fabbricato confessioni, il che avrebbe contribuito a creare questi demoni. Dobbiamo comunque ricordare che il personaggio è un prodotto di Knopfler, e il tono di confessione che udiamo nel brano è un’altra costruzione. La canzone sembra vera e personale, condivide un’emozione facendo apparire qualcuno che sembra particolare ma nei fatti è storicamente generico. La sua narrazione in prima persona contribuisce a un senso di autenticità, così come la struttura storica generica: c’erano forche e ballate sulle forche, e c’era tantissimo gin. Ciò nonostante è una falsa confessione di un personaggio immaginario basata su personaggi reali che falsificavano le confessioni dei condannati.

Col suo tono confessionale, la sua raffigurazione della miseria e la chiara identificazione di Madam Geneva, la canzone assomiglia a un “Temperance Tale” (racconto a favore dell’astemia) e porta alla mente “Il Gatto Nero” di Poe, la cui narrazione comprende una sua impiccagione (di un gatto) e può anch’essa considerarsi una sorta di temperance tale, sebbene non nella sua forma più semplice.

La canzone di Knopfler è un racconto sulla temperanza o solo una canzone su un personaggio che abita un mondo in cui si agitano le origini del movimento della temperanza? Questa risposta sembra avvolgersi su se stessa. Può darsi che questa canzone sia semplicemente un racconto temperato di intemperanza. Per il cantastorie di questa canzone, il gin scaccia i demoni. L'alcol è una consolazione, ma lo consola da un mondo danneggiato dall'alcol. Criminalità, sporcizia, povertà, depravazione: nel mondo di Hogarth (il mondo approssimativo della canzone di Knopfler) e nel mondo che condividiamo oggi, questi problemi erano e sono esacerbati dall'alcol. Hogarth incise quelle che secondo lui erano "le tristi conseguenze del bere gin". (Egli contrappose questa situazione, notoriamente, alla "prospera industria e allegria della birra", e disegnò Beer Lane per illustrare questo confronto). 

Il gin era la causa principale della povertà? No, ma per coloro che erano impantanati nella povertà, la dipendenza dal gin generalmente complicava la vita, e consolazione e rovina erano spesso intrecciate. Nella canzone di Knopfler, la consolazione dipende dall'anestetizzazione e la gamma vocale di Knopfler, una larghezza di banda ristretta in cui spesso opera, evoca il desiderio di distacco intorpidito del cantastorie. Il cantastorie lavora per rimuovere le emozioni dalla sua vita, non per accrescerle. Non c'è carisma associato al gin in "Madame Geneva's". Forse porta un lieve sollievo al cantastorie. Forse rovina gli altri. Knopfler non sembra promuoverlo o condannarlo. In questa canzone, il gin è accettato come un balsamo imperfetto.

link all'articolo: The Dens of Gin Lane: Mark Knopfler’s “Madame Geneva’s”"



Sono un autore di ballate proprio belle

Le scrivo proprio qui sulla strada

Puoi comprarle in tutta la città

Ogni foglio è tuo per un penny

 

Becco parole dai tipografi

Dalle tane del Vicolo del Gin

Scriverò una scena su un bancone

Confessioni e peccati in generale

Ragazzi, confessioni e peccati in generale

 

Poi mi troverai dentro a Madame Geneva’s

Che tengo a bada i demoni

Non c’è niente come il gin per affogarceli

Ma ritornano sempre, in un giorno di impiccagione

 

Arrivano sferragliando sui ciotoli

Siedono sulle loro nere casse da morto

Alcuni sono scossi e muti, alcuni farfugliano

Ubriachi di brandy o sherry

 

I banchi sono pieni di bravi compari

E la venditrice ambulante ha allestito la sua bottega

Mentre li lasciano alle forche

Sarà a vendere proprio sotto a dove cadono

Ragazzi, a vendere proprio là sotto

 

Poi mi troverai dentro a Madame Geneva’s

Che tengo a bada i demoni

Non c’è niente come il gin per affogarceli

Ma ritornano sempre, in un giorno di impiccagione

In un giorno di impiccagione