mercoledì 28 dicembre 2016

Under The Milky Way Tonight

Canzone di grande successo con un testo piuttosto ermetico, “Under the Milky Way" fu scritta da Steve Kilbey, cantante e bassista del gruppo Church, and Karin Jansson, in modo molto spontaneo. Il titolo pare sia ispirato al locale Melkweg (Via Lattea) di Amsterdam, che Kilbey era solito frequentare. Così ne parla l'autore; "Fumavo uno spinello e incominciai a suonare il piano quando lei entrò nella camera e semplicemente la mettemmo insieme. Una canzone casuale scritta per caso e che per caso è diventata un singolo e per caso è diventata un successo.”





A volte quando questo luogo diventa piuttosto vuoto
Il suono del loro respiro svanisce con la luce
Penso all’attrazione senza amore
Sotto la Via Lattea stanotte

Giù il sipario su Memphis
Giù il sipario, tutto a posto
Non ho tempo per un consulto privato
Sotto la Via Lattea stanotte

Vorrei sapere che cosa stavi cercando
Potevo sapere che cosa avresti trovato
Vorrei sapere che cosa stavi cercando
Potevo sapere che cosa avresti trovato

Ed è qualcosa di piuttosto particolare
Qualcosa di bianco e scintillante
Ti conduce qui nonostante la tua destinazione
Sotto la Via Lattea stanotte

Vorrei sapere che cosa stavi cercando
Potevo sapere che cosa avresti trovato
Vorrei sapere che cosa stavi cercando
Potevo sapere che cosa avresti trovato

Sotto la Via Lattea stanotte
Sotto la Via Lattea stanotte

mercoledì 14 dicembre 2016

Debris

L’East Ender  Ronnie Lane (1946-97) sceglie le rovine che ospitano il mercato della domenica mattina nel suo quartiere come sfondo per una triste ballata. Il bassista dei Faces, in episodi come questo anche cantante, nacque a Forest Gate, London, e a parte i romanticismi, Debris è piuttosto evidentemente un tributo alle sue radici nella classe operaia dell’East End.

La canzone parla del padre e del crescere in un’area bombardata nella parte orientale di Londra, come riferì lo stesso Lane in un’intervista, dove un mercato della domenica si svolgeva tra le macerie, sulle quali la gente spargeva i più disparati oggetti destinati alla vendita. “Mio padre ci andava ogni domenica, mi ci portava e passavamo ore in quella merda. Ed è stato solo una volta che ero a New York che ho realizzato che mi mancava. Al tempo soffrivo di nostalgia di casa.”


Ti ho lasciato sui detriti
Al mercato della domenica mattina
Stavi rovistando tra le cianfrusaglie
Cercando un affarone

Ho sentito i tuoi passi alla porta principale
E quella canzone d’amore familiare
Perché sapevi che mi avresti trovato lì ad aspettare
In cima alle scale

Andavo fin lì e tornavo
Solo per vedere quanto era lontano
E tu, tu cercavi di dirmelo
Ma dovevo impararlo per conto mio

Ci sono ulteriori problemi al deposito
Con il sindacato generale
E dicevi “non cambieranno mai nulla, sai,
non lotteranno e non stanno lavorando”

Oh, eri il mio eroe
Come sei il mio buon amico
Sono andato fin là e ritornato
E so quanto è lontano

Ma ti ho lasciato sui detriti
Ora sappiamo entrambi che non avevi soldi
E mi chiedo che cosa avresti fatto

Senza di me a gironzolarti intorno

mercoledì 30 novembre 2016

Man In The Mirror

“Songs For Beginners“ del 1971, primo disco solista di Graham Nash da cui è tratta questa canzone, si apre e si chiude con due manifesti del sentimento di quell’epoca “Military Madness” e “Chicago/We can change the World”, ma nel mezzo contiene una raccolta di canzoni che trapelano malinconia e un poco di rassegnazione (probabilmente anche dovute alla fine recente della sua relazione con Joni Mitchell) ma riflettono anche il cambiamento, la transizione e la voglia di ricominciare. Una di queste è proprio “Man in the Mirror”, a cui partecipano Jerry Garcia e Neil Young, brano che parte con un valzer country per poi a un terzo del cammino cambiare tonalità, tempo e feeling in un bridge che la trasforma, mutando anche il sentimento di una canzone che descrive forse la ricerca di dare un senso alla vita.




L’uomo nello specchio

All'estremità di una fune da acrobati mi trovo sopra alla città
Starei bene in un circo, come capiterebbe però anche un pagliaccio
Da come mi sento tutte le mie inibizioni sono cessate

Nel mezzo del nulla mi sono trovato un albero
E il frutto di cui viviamo mi ricorda di me
Sebbene viviamo in aria non sono sicuro che siamo liberi

Veramente non ho molto da dire
Perché vivo alla giornata
Da qualche parte

E non mi importa di ciò che dice la gente
Perché se tutti conoscono il modo
Non siamo da nessuna parte

Due più due fanno quattro, non fanno mai cinque
E fintanto che lo sappiamo possiamo tutti sopravvivere
Assicurati che le cose che fai ci mantengano in vita

Veramente non ho molto da dire
Perché vivo alla giornata
Da qualche parte

E non mi importa di ciò che dice la gente
Perché se tutti conoscono il modo
Non siamo da nessuna parte

È l’immagine che sto producendo, l’immagine che vedo
Quando l’uomo nello specchio parla con me


mercoledì 23 novembre 2016

In Dieser Stadt

Hildegard Knef (Ulm, 1925 – Berlino 2002) è stata attrice, di cinema, teatro e televisione, cantante e scrittrice, personaggio pubblico, ma soprattutto, come altre prima di lei – e probabilmente nessuna dopo - Diva. A maggior ragione se si pensa alle dive di provenienza europea che poi si affermavano – valgano come esempio assoluto le inarrivabili Garbo e Dietrich - e venivano definitivamente consacrate tali negli Stati Uniti. Proprio queste due stelle assolute si offrono come riferimento inequivocabile; della prima la Knef reinterpretò il ruolo di Ninotchka nella trasposizione teatrale del Film omonimo che la vide protagonista di un fastoso successo a Broadway, alla seconda fu legata come amica, protégé, e anche per lo stesso destino di “semi-ripudiata” che dovette riconquistare la propria patria, precedentemente abbandonata scientemente per inseguire il successo.

Ritornata in Germania si reinventa cantante ma non solo, perché diventa anche autrice di una serie di canzoni il cui testo è spavaldamente autobiografico, quasi una auto-consacrazione che precede quella tributata dal pubblico, il quale soccomberà al fascino di Hilde. Questa è una di quelle canzoni:


IN QUESTA CITTà (1965)

Pacchetti di sigarette vuoti e colorati
E la carta di panini imburrati accartocciata
Sulla strada per la scuola che percorrevamo ogni giorno
La vedo ancora davanti a me, come fosse oggi
E dalla barbabietola davanti alla stazione
Rubavamo per la mamma il mazzo di fiori per il compleanno:

Io questa città, la conosco bene,
in questa città una volta ero di casa;
che aspetto avrà oggi la città?
In questa città una volta ero di casa.

Tra due lampioni oscurati
Stava una panchina, il mio primo ragazzo si chiamava Cecco
Avrei tanto voluto che mi insegnasse a baciare
Ma i suoi baci facevano ridere
Al mattino rimuginando dietro ai vetri ciechi
Avevo una sola certezza, voglio andarmene!

Io questa città, la conosco bene,
in questa città una volta ero di casa;
che aspetto avrà oggi la città?
In questa città una volta ero di casa.

Una mattina stavo sulla banchina
Sulle rotaie verso il vasto mondo,
e seppi improvvisamente, sulla banchina,
che niente più mi tratteneva in questa città.
Oggi, dopo notti passate a piangere da sola,
non sopporto più questa nostalgia di casa:

Io questa città, la conosco bene,
in questa città una volta ero di casa;
che aspetto avrà oggi la città?
In questa città una volta ero di casa.

mercoledì 16 novembre 2016

Sweet Virginia

Da “Exile On Main Street”, il disco più americano degli Stones (nonostante sia stato concepito per lo più durante il loro "esilio" francese), "Sweet Virginia": in una rivisitazione drogata e sguaiata del Country, con pochi versi questa ballata riesce a evocare l'atmosfera di un viaggio attraverso le grandi distanze degli Stati Uniti.



Camminando a fatica attraverso un inverno deserto e tempestoso
E non c’è neanche un amico che possa aiutarti
Cercando di fermare le onde dietro alle palle degli occhi
Butti giù le tue pillole rosse, le verdi, e le blu.

Grazie per i tuoi vini, California,
Grazie per i tuoi frutti dolci, e amari.
Sì ho il deserto sotto alle unghie dei piedi
E nascondo la benzedrina nelle scarpe

Voglio che tu venga, vieni giù dai, Dolce Virginia,
Voglio che tu venga, dolcezza, ti prego.
Voglio che tu venga, vieni giù dai, ce l’hai in te
Devi raschiarti via quella merda dalle scarpe.


mercoledì 2 novembre 2016

Bright Yellow Gun

Una delle più grandi college band degli anni 80, Throwing Muses si formarono nel 1983 per iniziativa di Kristin Hersh e Tanya Donelly.  Il loro suono spigoloso, angosciato e lunatico era in gran parte dovuto alla malattia mentale della Hersh, affetta da un disturbo bipolare che le causava allucinazioni. Bright Yellow Gun è il singolo tratto da University, l’album forse più accessibile della band, pubblicato nel 1995. 


Pistola giallo brillante

Con la tua pistola giallo brillante, sei padrone del sole
E penso di avere bisogno di un po’ di veleno
Per tenermi domata, tenermi sveglia
Non ho altro da offrire che confusione

E il circo nella mia testa, e il centro del letto
Nel mezzo della notte
Con il tuo cipiglio argento acceso, sei padrone della città
E penso di avere bisogno di un po’ di veleno

Non ho segreti, non ho bugie
Non ho niente da offrire, tranne il mezzo della notte
E penso di avere bisogno di un po’ di veleno
Fai passare una mela alla settimana, per sopravvivere
E devi ancora chiedere se sei vivo
Non hai niente da offrire tranne che sorvegliare imiei sogni
Tenermi pulita, tenermi sveglia
Con la tua pistola giallo brillante, sei padrone del sole
E penso di avere bisogno di un po’ di veleno
Col tuo ghigno argento acceso, sei padrone del peccato
E penso di avere bisogno di un po’ di veleno


pistola giallo brillante

mercoledì 19 ottobre 2016

Crucify Your Mind

Sixto Rodriguez, ormai emerso alla ribalta inesorabilmente grazie al memorabile documentario “Searching for Sugarman”, ha acquisito di diritto il suo spazio tra gli autori significativi, per quanto innumerevoli, dei suoi anni. Anni che lo videro per lo più ignorato in patria e riconosciuto in terre lontanissime, nell’emisfero altro, dall’Australia a – soprattutto – il Sud Africa. Il testo di questa canzone potrebbe essere accomunato a quello di “Like A Rolling Stone” di Dylan, dove l’ex amante si rivolge, non senza un certo disdegno, a una ragazza che vive un declino del quale ella stessa non è del tutto incolpevole.



Fu un cacciatore o un giocatore
A farti pagare il prezzo
E che ora assume posizioni rilassate
E prostituisce ciò che hai perso?

Fosti torturato dalla tua stessa sete
In quei piaceri che cerchi
Che ti resero il curioso Tom
Che ti resero il debole Giacomo?

E sostieni di avere qualcosa in ballo
Qualcosa che definisci unico
Ma ho visto mostrarsi la tua auto-commiserazione
E le lacrime scorrere giù per le tue guance

Presto sai che ti lascerò
E  non guarderò mai indietro
Perché sono nato per lo scopo
Che crucifigge la tua mente
Per cui convinci il tuo specchio
Come hai sempre fatto finora
Dando corpo alle ombre
Concretizzandole sempre più

E presumi di avere qualcosa da offrire
Segreti nuovi e luccicanti
Ma quanto in te è una ripetizione
Che non sussurri neanche a lui



mercoledì 5 ottobre 2016

Asphaltnacht

Questa traduzione è in qualche modo autoreferenziale, dato che tratta una canzone del mio gruppo, ma sarà soprattutto l’occasione per parlare di un film da cui la canzone medesima ha preso spunto.
I film rock sono spesso a rischio, esposti a critiche da parte di puristi, musicisti, appassionati, fanatici, pronti a criticare ogni piccolo errore o anacronismo, come pure ingenuità o compiacenze che pellicole ad argomento musicale non di rado presentano.
A volte però la passione di chi il film lo realizza travalica qualsiasi ostacolo, fa passare in secondo piano eventuali ingenuità e viene fuori quello che viene comunemente definito “film di culto”. In questo caso il culto è esclusivamente tedesco, dato che il film non è mai stato tradotto oltre confine. 
Nel 1980 “Asphaltnacht”, il lungometraggio di Peter Fratzscher  racconta dalla tarda serata alle prime luci dell’alba - in un’ineccepibile unità di tempo, luogo e azione - una Berlino notturna ancora divisa e satura di quello spirito rock decadente che la permeava in quegli anni, quelli che vanno dai fine settanta del connubio Bowie - Iggy Pop (la trilogia berlinese, “The Idiot”) ai primi ottanta di Nick Cave e Neubauten. Ma il film comincia addirittura dagli MC5 di “Kick Out The Jams”, perché il protagonista, Angel, è qui un musicista trentenne quasi arreso proveniente dagli anni sessanta che va a scontrarsi con un ragazzo più giovane, ma forse persino più disilluso di lui, in una contrapposizione tra classico rock e punk nichilista che però poi sfocerà in una collaborazione ineluttabile, in cui tutti gli elementi vaganti e apparentemente impazziti della storia, dal paroliere in crisi al produttore sfiduciato, dall’aspirante groupie al sassofonista allo sbando, si incontreranno nella creazione della canzone perfetta, il cui titolo potrebbe anche essere quello del film stesso: “Angel’s Night”. La notte di Angel, il protagonista, che in una notte ritrova l’ispirazione e il senso della vita: “il rock and roll è più grande di ognuno di noi” (Alan Freed).


Qui traduco la trama del film dal sito della Deutsches Filmhaus:


Angel, un trentenne veterano del Rock è seduto – stiracchiato sul sedile anteriore – nella sua vecchia Ford Mustang, legge un articolo di 'Sounds' che parla dei tempi che cambiano e ascolta dalla radio una voce che narra di trombe e del crollo delle mura di Gerico. Scuotendo la testa infila una cassetta nell’autoradio, mentre una palla da demolizione fa crollare il vecchio edificio lì vicino. Angel ride – le cose vanno di nuovo a posto.
Guida fino agli studi di registrazione. I musicisti stanno lì ad annoiarsi; la Groupie Nelly attende celebrità che non arrivano; Frank, produttore di musica da discoteca e collaboratore di Angel, si comporta da gradasso; L.A. Peters, uno scrittore in disgrazia, si ubriaca a poco a poco. Angel è convinto che L.A. possa scrivergli il refrain che gli manca per la sua canzone; L. A. fa cenno di no – il massimo che gli riesce ormai è solo “Yes Sir, I can Boogie”. Quando spuntano due azzimati funzionari di casa discografiche, comprensivi di dame a seguito, e tutto comincia a promettere devozione assoluta, Angel scompare.
Incontra Jonny, che ha trovato rifugio da un temporale nell’auto di Angel, e ora siede lì e non ha niente di meglio da fare che ascoltarsi su cassetta le preoccupazioni di Angel. “Un pochino troppo sentimentale”, gli dice, ma un’altra versione, più veloce, gli piace … Jonny ha diciassette anni, ha una freddezza rilassata e naturale, disprezza le donne ed è disilluso, ammesso che il concetto di disillusione abbia per lui un significato. All’inizio considera Angel un fossile malinconico, ma gradatamente il suo rispetto per il “veterano del Rock” cresce; Johnny è per Angel quella persona che lui non è mai riuscito a essere: uno che agisce in maniera diretta.

Dal momento di questo incontro casuale la musica Rock terrà insieme i due: la musica Rock che si faceva prima e di cui Angel si sente l’erede; la musica Rock di cui essi hanno bisogno qui e ora per sopravvivere come del pane quotidiano; la musica Rock che si deve ancora fare, perché invece che sopravvivere si possa di nuovo vivere. Così rimangono insieme e cominciano un viaggio attraverso le situazioni della notte e della musica Rock. L’auto di Angel diventa per loro mezzo di trasporto, luogo di ritrovo, sala musica, nascondiglio e strumento di fuga – e la mattina dopo per un pelo una bara per Johnny.
Tutti e due sono piuttosto al verde e passano dalla sorella di Angel, che lavora in un Peepshow e di tanto in tanto procura dei soldi al fratello. In un negozio che vende Hamburger si imbattono nei “Westend Angels”, un gruppo di teppisti in motocicletta, che li insegue fino a una chiesa, dove un amico di Angel organista di notte si esercita in musiche poco ecclesiastiche. Con una rabbia fredda Angel rompe le ossa al capo della banda. Jonny riesce a salvarsi dalla minaccia di uno stiletto lanciando libri dei salmi.
Lentamente, dalle azioni e dalle immagini di questa notte, dagli incontri con angeli e spiriti, con prostitute e protettori, con persone normali o fuori di testa, assonnate o sveglie, affamate o più che sazie prende forma – verso dopo verso – la canzone di Angel.  
Nel corso della rissa Jonny è stato ferito. Debbie, un’amica di Angel dai tempi del ‘68,  che ora lavora in una discoteca, si prende cura delle ferite. Mentre Angel ripete una rituale gara automobilistica in un tunnel di cemento con il “pazzo” sassofonista “Kamikaze” – per rimpinguare la cassa -, Frank e L.A. fanno la loro comparsa nella discoteca, per presentare al pubblico una versione Disco della canzone di Angel.
Jonny, che mai si è reso disponibile a fare qualcosa per qualcuno, impedisce che abbia luogo questa anteprima. L.A. gli mette un pezzo di carta in mano – alla fine poi gli è venuto in mente un refrain: 

"Angel's love and Angel's hate 
Angel's blood and Angel's fate
Angel's heart is Angel's light
Angel's soul is Angel's night."

(L’amore di Angel e l’odio di Angel
Il sangue di Angel e il destino di Angel
Il Cuore di Angel e la luce di Angel
L’anima di Angel è la notte di Angel)
  
Johnny scappa via e ruba un amplificatore a pile. Sul tetto di un parcheggio si posiziona con l’ampli sulla Mustang di Angel. Quando Angel arriva al punto di ritrovo, viene accolto dal riff della chitarra di Jonny sulle parole di L.A. che si diffondono nella notte tra le mura di cemento. Eccolo, è quello che ancora mancava alla canzone di Angel.
Arrivano a tutta velocità allo studio – una gioiosa e terribile potenza sale nei due e trova sfogo reciproco in soli di chitarra suonati a botta e risposta. Dopo di che Angel canta il nuovo testo – e per la prima volta ascoltiamo per intero l’inno “Angel’s Night”. Frank ed L.A. ritornano allo studio; stanno lì dietro al vetro, ascoltano e percepiscono e sanno: ora la canzone c’è ed è buona. "Rock'n'Roll ist bigger than all of us!"
Mentre Angel si ascolta il nastro, fuori nell’auto Nelly dà modo a Jonny di sperimentare una tenerezza tutta nuova. Successivamente Angel si ritrova davanti a lui, e  spossati dalla notte insonne vanno a fare colazione da qualche parte. Incidentalmente per una stupida casualità a momenti Jonny non rimane ucciso. Insieme con il giorno anche la vita li ha di nuovo recuperati. Ma come dice Jonny: "It's only Rock'n'Roll!"

(fonte: Kino - Bundesdeutsche Filme auf der Leinwand 1981/82, edito da: Robert Fischer, Verlag Monika Nüchtern, Monaco)


Notte d'asfalto

Jonny Loser dice che il suo destino è scritto su una custodia di chitarra:
"il futuro è già venduto"
Il futuro è già venduto

Angel cantava "kick out the jams" ora scrive una canzone senza fine
Che parla di ciò che è andato storto
Chiedendosi che cosa è andato storto

Sul muro c'è ancora scritto: "Teenage Jesus 30.6"
Nel frattempo il "Crystal Ship" è crollato
Quel locale è crollato

Spettacoli per guardoni, groupie, bar aperti fino all'alba
Diner, motociclisti, chitarristi solisti
Angeli insonni, "star" dimenticate
Stringono un patto nella notte d'asfalto

L. A. Pete è riemerso dal diluvio
Dicendo che il rock and roll
È più grande di tutti noi, più grande di ognuno di noi

Hanno fatto l'amore nell'auto di Angel
Nelly si è svegliata sulle ginocchia di Jonny
Ha avuto quello di cui ha bisogno, ora ha quello che le serve

Un Bloody Mary e due tazze di caffé, alle prime luci dell'alba
La canzone nel jukebox è finita
Può un incidente d'auto essere la fine
Può davvero finire così?

Jonny Loser diceva che il suo destino era scritto su una custodia di chitarra
"il futuro è già venduto"
Il futuro è già venduto



La canzone "Angel's Night":



Il film (in tedesco - senza sottotitoli):





mercoledì 28 settembre 2016

Springenfall

Un altro dei grandi gruppi degli anni ottanta: dall’Australia i Died Pretty continuavano in quel periodo la forte tradizione garage rock di quel paese venandola di psichedelia ma con richiami anche al folk rock di Gram Parsons. Nel 1988 uscì il loro secondo album “Lost” a cui fece seguito un tour negli USA e in Europa, che toccò addirittura Genova (erano altri tempi), in un concerto che ricordo ancora per le sonorità ipnotiche e la presenza carismatica di Ronald Peno, il cantante.
Da quel disco è tratta Springenfall.



Primaveraeautunno

Indifeso baciai la tua faccia d’angelo e condivisi il legame che univa
La tristezza ti raccontò di un uomo impaurito, immobile e non trovato
La confusione si sedette e corse verso questa folla stravolta, furiosa
Mentre solitario sedevo e guardavo questo vecchio cielo blu mutarsi in nuvola

Ora ti amerò in primavera, ti amerò in autunno
Non lascerò mai entrare questo lato cattivo, se ciò significa poi qualcosa
Avvolgerò questo mondo vuoto e mi ci crogiolerò tutto
Nonostante questa freddo parlare che potrebbe congelare chiunque

Ti ho dato questa vita, protetta da quello che pensavo fosse sbagliato
Ho ballato dentro a questa melodia viziosa, struggimenti là da dove venivo
La confusione si sedette e corse verso questa folla stravolta, furiosa
Mentre solitario sedevo e guardavo questo vecchio cielo blu mutarsi in nuvola

Ora ti amerò in primavera, ti amerò in autunno
Non lascerò mai entrare questo lato cattivo, se ciò significa poi qualcosa
Avvolgerò questo mondo vuoto e mi ci crogiolerò tutto
Nonostante questa freddo parlare che potrebbe congelare chiunque

Ora ti amerò in primavera, ti amerò in autunno
Non lascerò mai entrare questo lato cattivo, se ciò significa poi qualcosa
Assorbirò questo mondo vuoto e mi ci crogiolerò tutto
Nonostante questa freddo parlare che potrebbe congelare chiunque





mercoledì 21 settembre 2016

Fisherman's Blues

Fisherman’s Blues è una canzone esaltante. Un brillante caso di perfetta fusione tra musica e parole. Un inno alla gioia tra mare e cielo in terra d’Irlanda. Possiede un’euforia contagiosa, un’energia che coinvolge tanto chi la sente per la prima volta quanto chi la ama da anni. Oltre al testo della canzone ho tradotto “Una lettera d’amore al testo di Fisherman’s Blues dei The Waterboys”, un articolo di James Caig, che trovate qui nella versione originale: 



Vorrei essere un pescatore
Che ruzzola sui mari 
lontanissimo dalla terra ferma
E dai suoi ricordi amari

Lanciando la mia dolce lenza
Con abbandono e con amore
Senza un soffitto a gravare su di me
Salvo il cielo stellato là in alto

Con la Luce sul mio capo, e te nelle mie braccia

Vorrei essere il frenatore
Su un treno che sfreccia febbricitante
Schiantandosi a capofitto nel Cuore della terra
Come un cannone nella pioggia

Col battere delle traversine
E il bruciare del carbone
Contando le città che passano come lampi
In una notte piena d’anima

E so che sarò liberato
Dai legami che mi attanagliano
Che le catene appese intorno a me
Cadranno finalmente

E in quel giorno felice e fatale
Sarò l’artefice della mia stessa guarigione
Correrò su quel treno
Sarò il pescatore

Con la Luce sul mio capo, e te nelle mie braccia



 Senza un soffitto a gravare su di me

“Una lettera d’amore al testo di Fisherman’s Blues dei The Waterboys”, di James Caig


I wish I was a fisherman
Tumblin’ on the seas

Far away from dry land

And its bitter memories


La casa era in collina, una quindicina di minuti lungo una strada tortuosa che saliva da una cittadina medioevale posta a cavalcioni di un fiume chiaro come la seta. Il villaggio era annidato con cura in un anfiteatro naturale contornato da vigneti, e anche nel suo ruolo acquisito di avamposto turistico sonnacchioso, nel profondo sud ovest della Francia.

Ritiro. Ricarica.

Guidavamo. Prendemmo il traghetto, ci fermammo lungo la strada. Non fu un tuffo a freddo, ma una immersione graduale. Il caldo, la lingua, la cultura  — ognuno di questi elementi si intensificava procedendo verso sud ovest, avvicinandoci a una vacanza che prometteva tutto ciò che le nostre vacanze sempre ci promettono.

Tempo per disconnettersi. Tempo da passare insieme. Una possibilità per ricollegarsi con qualcosa di più basilare, più autentico forse. Tempo per rallentare, per prestare attenzione, di nuovo.

Casting out my sweet line
With abandonment and love
No ceiling bearin’ down on me

Save the starry sky above


Prestare attenzione non è così naturale ai giorni nostri, pare. Al lavoro,  circondati dal pulsare incessante della vita moderna, la nostra impostazione predefinita è essere distratti. Come viene delineato in questo meraviglioso brano, la realtà urbana crea uno “scudo di disattenzione”. Arresta la nostra connessione col mondo e diventa tanto più spesso e più pesante, quanto più tempo passiamo dietro di esso. Ci muoviamo più veloci che mai, e più che mai disattenti.

La vacanza, come ho appena sperimentato, è un momento in cui lo scudo può sollevarsi un poco. Siamo in grado di prestare attenzione, di collegarci un po’ più naturalmente. Lanciamo una dolce lenza verso l’esterno, sperando che qualcosa di significativo abbocchi.

E sebbene non la suonassi mai in auto, era Fisherman’s Blues che risuonava nella mia testa mentre percorrevamo la Francia, allontanandoci dalla nostra metaforica terra ferma. Magari non avremo ruzzolato sui mari, ma ci sentivamo trasportati dall’abbandono e dall’amore.

I know I will be loosened
From the bonds that hold me fast
That the chains all hung around me

Will fall away at last


Cominciai a notare e apprezzare molte più cose di questa canzone, questo canto marinaresco che celebra la rimozione dei paraocchi in modo da potere a nostra volta notare e apprezzare in misura maggiore. Questa canzone su un pescatore che non è effettivamente cantata da un pescatore. Questo blues che non è veramente un blues, ma piuttosto un gospel mascherato. Un inno alla natura, al passato, e come lo sono tutti i canti gospel, al futuro, caricato come è da una promessa di un domani migliore.

Fisherman’s Blues è una fuga, un’azione di svincolamento. Rappresenta la ricerca di Mike Scott verso qualcosa di più reale, lontano dagli apparati della moderna vita sociale. Fu questo il viaggio, più indelebile del nostro, che Scott intraprese quando realizzò l’album (chiamato anch’esso Fisherman’s Blues). La canzone, come la nostra vacanza, ti chiede di riconnetterti con qualcosa di più libero, più significativo. Un passo indietro nel tempo che diede il via a un grande passo artistico in avanti.

Un viaggio non è solo la destinazione, ovviamente, ma anche il posto di partenza. Per noi, il posto di partenza voleva dire schemi, scadenze, responsabilità. Per Scott, sono legami, catene, e ricordi amari. In entrambi i casi ciò che è più potente è che il sogno da cui scappiamo svanirà magicamente. Rimarrà da qualche parte laggiù, su quella terra ferma figurata, e pertanto cesserà di esistere.
Come se uno sguardo al villaggio, alla montagna, alla casa, alla piscina ci rendesse tutti felici. Così è stato il nostro viaggio. Domani sarò liberato.

I wish I was the brakeman
On a hurtlin’ fevered train
Crashing a-headlong into the heartland

Like a cannon in the rain


La promessa di Fisherman’s Blues è un domani dove i problemi sono lasciati alle spalle. L’esistenza è meno complessa, ed è consegnata alle mani di un potere più alto, una forza elementare non controllata da noi.

Tumblin’ on the seas… On a hurtlin’ fevered train…

Ma quel domani è anche un ieri. Mentre una volta il viaggio ampliava la mente, ora lo usiamo per restringere il nostro campo di interesse. Ci liberiamo dei fardelli della modernità per strizzarci nella semplicità delle vite meno moderne di altre persone. Mangiamo il loro cibo, camminiamo sulle loro colline, viviamo secondo i loro rituali. Forse vogliamo ricatturare ciò che abbiamo perso, vivere come avremmo potuto vivere. Forse stiamo cercando di rimettere il genio dentro alla lampada. Certamente la sensazione è quella di ritornare a ciò che è importante.

With the beating of the sleepers
And the burnin’ of the coal
Counting the towns flashing by

In a night that’s full of soul


Puoi sentire la realtà viscerale di queste vecchie vite, nella loro durezza, che esce pulsando attraverso la canzone. Le abitudini e i rituali sono costruiti intorno alla necessità di arrivare a fine mese, non alla realizzazione di sé stessi. Ma Fisherman’s Blues ti fa desiderare ardentemente quella vita semplice, ti fa sentire che potresti viverla. È come leggere di nuovo On The Road. Magico.

E quel “woo” che termina ogni ritornello di Fisherman’s Blues racchiude ogni cosa — liberazione, speranza, felicità. È il suono di una notte che è piena d’anima. L’anima della vita moderna, con i suoi soffitti e legami e catene e amari ricordi, è stata ingabbiata. Abbiamo la volontà — la necessità — di fuggirla per qualcosa di più significativo. Nella città è facile procurarsi notti piene di rumore (e di oblio e indulgenza). Meno facile connettersi, scoprire, deliziarsi, meravigliarsi. Ma tutti abbiamo bisogno di ciò.

And on that fine and fateful day
I will take me in my hands
I will ride on the train
I will be the fisherman


E così, ovviamente, c’è una ragazza. Le vite che Scott immagina sono solo simboli. O piuttosto, mi piace pensare, immagini rispecchiate della vita che egli immagina con lei. La vita del pescatore è la vita del frenatore è la semplicità e la felicità e la verità di essere innamorati. Con una di esse al suo posto, ha bisogno solo dell’altra per completarsi. Vita, seconda edizione.

E sebbene le vacanze non siano sempre così perfette come i sogni che possono ispirare, essere circondati dalle persone che più ami al mondo, costantemente, vale tanto come l’esperienza della fuga.

With light in my head
You in my arms


A che serve avere la Luce in testa, chiede la canzone, se non hai fra le braccia le persone che ami?



mercoledì 14 settembre 2016

Country Death Song

Country Death Song", ha il compito di aprire degnamente l’album “Hallowed Ground”, dove il folk rivisitato dei Violent Femmes diventa più punk del punk, in una visione scandita da testi sorprendenti, che alternano temi biblici e più o meno lucide ossessioni. E nella tradizione più cupa della musica popolare americana, questa “canzone di morte campagnola” è una vera “Murder Ballad”. Basata su una storia vera, è tratta da un articolo del 1862 su di un uomo che intenzionalmente gettò la figlia in un pozzo e poi si impiccò nel granaio. L’amara vicenda è raccontata da Gordon Gano in prima persona, con la sua voce stridula e stralunata, e l’effetto è memorabile.



Ho preso moglie, ho avuto delle figlie
Ci ho provato duramente, non ho mai conosciuto acque tranquille
Niente da mangiare e niente da bere
Nient’altro da fare per un uomo, che stare lì seduto a pensare
Nient’altro da fare per un uomo, che stare lì seduto a pensare

E penso e ripenso, fino a che non c’è niente che non abbia pensato
Respirando nella puzza, fino a puzzare
E fu a quel tempo, che giuro ho perso la testa
E cominciai a pianificare di uccidere la mia stessa stirpe
E cominciai a pianificare di uccidere la mia stessa stirpe

Vieni figlioletta “dissi alla più giovane”
Metti su il cappotto, andiamo a divertirci
Andremo sulle montagne, a esplorarne una
Il suo volto si illuminò, io stavo sulla porta
Il suo volto si illuminò, io stavo sulla porta

Vieni figlioletta, io porterò le lanterne
Andremo fuori stasera, andremo alle caverne
Andremo fuori stasera, andremo alle caverne
Dà a tua madre il bacio della buonanotte e ricorda che Dio è salvezza
Dà a tua madre il bacio della buonanotte e ricorda che Dio è salvezza

La condussi a una buca, un pozzo nero e profondo
Le dissi “esprimi un desiderio, mi raccomando non dirlo e
Chiudi gli occhi cara, e conta fino a sette.
Lo sai papà ti vuole bene, i bambini buoni vanno in paradiso
Lo sai papà ti vuole bene, i bambini buoni vanno in paradiso”

Le diedi una spinta, le diedi un colpo
Spinsi con tutta la mia forza, spinsi con tutto il mio amore
Gettai mia figlia in una fossa senza fondo
Urlava mentre cadeva, ma non la sentii mai urtare
Urlava mentre cadeva, ma non sentii mai il tonfo

Radunatevi ragazzi e ascoltate il mio racconto
Volete sapere come si parte per una breve gita all’inferno?
Vi garantirà il vostro posto all’inferno.
Prendete la vostra amorevole figlia e buttatela nel pozzo.
Non parlatemi di amanti col cuore infranto.
Volete sapere che cosa può realmente lacerarvi?
Me ne andrò al granaio, fermerò mai il dolore?
Me ne andrò al granaio, per impiccarmi nella vergogna.

mercoledì 7 settembre 2016

Nannas Lied

Nel 1939 Kurt Weill mette in musica - come regalo di Natale per Lotte Lenya - un testo di Brecht, tratto dalla commedia del 1932 Die Rundköpfe und die Spitzköpfe (Le teste tonde e le teste a punta). La canzone parla di una prostituta che finge di non avere rimpianti. Il ritornello,
Wo sind die Tränen von gestern abend?
Wo ist der Schnee vom vergangenen Jahr?

prende spunto da un verso del poeta medievale François Villon dalla sua Ballade des dames du temps jadis  (Ballata delle dame di un tempo che fu) con la domanda, Mais où sont les neiges d'antan? ("Dove sono le nevi d’un tempo"), ma ricorda anche l’espressione tedesca “Schnee von Gestern” traducibile come “acqua passata”. Brecht può apparire spesso freddo, in una canzone come questa però credo trapeli la sua comprensione per le donne. La protagonista cerca qui di dare un senso al suo mondo, appropriandosi del famoso ritornello di Villon, in un discorso in cui delicatezza e brutalità si incontrano per spiegare che cosa succede quando una ragazza mette in vendita il suo corpo e i suoi sentimenti sul mercato “dell’amore”.


Signori miei a diciassette anni
Mi affacciai al mercato dell’amore
E ne ho viste di cose
Cattiveria ce n’era tanta
Però era quello il gioco.
Anche se qualcosa mi ha pur dato fastidio
(Del resto, sono umana anche io)
Grazie a Dio tutto passa in fretta
Anche l’amore e addirittura il dispiacere.
Dove sono le lacrime di ieri sera?
Dov’è la neve, dell’anno trascorso?

Certamente con gli anni
È più facile muoversi nel mercato dell’amore
E li si abbraccia in schiere
Però il sentimento
Diviene sorprendentemente gelido
Quando lo si lesina eccessivamente
(del resto, qualsiasi scorta prima o poi finisce)
Grazie a Dio tutto passa in fretta
Anche l’amore e addirittura il dispiacere.
Dove sono le lacrime di ieri sera?
Dov’è la neve, dell’anno trascorso?

E anche quando si impara bene il commercio
Alla fiera dell’amore:
di tramutare il piacere in spiccioli
non diventa però mai facile.
Ora, lo si ottiene
Però si invecchia pure, nel frattempo.
(Del resto, non si hanno diciassette anni tutta la vita).
Grazie a Dio tutto passa in fretta
Anche l’amore e addirittura il dispiacere.
Dove sono le lacrime di ieri sera?
Dov’è la neve, dell’anno trascorso?



mercoledì 31 agosto 2016

Johnny Come Lately

Nel 1986 Steve Earle incontra i Pogues con cui deciderà di collaborare per un brano del suo disco “Copperhead Road”. Johnny Come Lately, termine che può essere tradotto come "l’ultimo arrivato", è una canzone che descrive il ritorno a casa dei veterani di guerra. In essa vengono comparate le esperienze dei soldati che prestarono servizio durante la seconda guerra mondiale con quelle dei combattenti in Vietnam, descrivendo i contrasti di una diversa accoglienza al rientro. La canzone mi dà anche modo di tradurre un racconto in cui lo stesso Steve Earle descrive la sua esperienza con i Pogues:

"Incontrai i Pogues a Londra, negli studios EMI di Abbey Road, nel 1986, mentre stavano registrando i demo per quello che sarebbe diventato “If I should fall...”. Stavano cercando di mollare il loro contratto discografico ai tempi e avevano riservato lo studio del terzo piano, “l’attico”, sotto lo pseudo-pseudonimo di “terry woods quartet”...
era tardi, ben dopo mezzanotte, e il viaggio fino a st. John’s Wood attraverso un’impossibile – e proverbiale - nebbia inglese assunse l’aria di una missione segreta in un film di spionaggio in bianco e nero, molto sussurrato e deliziosamente clandestino.
Mi presentai alla guardia in uniforme sussurrando “Steve Earle, sono qui per il Terry Woods Quartet nell’attico”. L’anziana guardia in uniforme mi guardò come fossi un idiota del cazzo.
“Ah, i Pogues? in cima alle scale gira a destra, non puoi sbagliare, c’è mezza Londra lassù, cazzo.”
Per i due anni successivi ci siamo scontrati nel mezzo della notte da una parte all’altra dello stagno (oceano). Beh okay, a volte era qualcosa di un po’ più duro di uno scontro. Quando registrammo “Johnny come lately” insieme (per il mio disco “Copperhead Road”), “if i should fall...” era uscito e i ragazzi stavano suonando una serie di sei serate nella settimana di San Patrizio al vecchio club Town and Country a Kentish Town. Fu una settimana magica. Kirsty MacColl era là a cantare “fairytale of new york” con Shane ogni notte e i bis comprendevano “Message to rudy” con la sezione fiati degli specials e “I Fought the Law” con Joe Strummer in persona a guidare la Band. Io uscii a cantare “Johnny” con il gruppo ognuna delle prime tre serate e poi, alla mattina del quarto giorno, dopo aver lavorato sul pezzo di fronte a 6000 persone, registrammo la traccia al Livingstone Studio. Rimanemmo in piedi tutta la notte quella notte (come ogni altra notte) e il mattino successivo Spider mi buttò in un taxi per Heathrow e mi ritrovai in volo verso gli States. Quella notte era il gran finale di San Patrizio al Town and Country. In qualche modo, nella confusione, nessuno si prese la briga di dire a Terry Woods, che aveva insistito per presentarmi ogni sera, che non ero più nel Regno Unito.
“Vi chiedo di dare il benvenuto” disse roco “a un nostro caro amico dal grande stato del Texas – STEVE EARLE!”
E non successe un cazzo di niente dato che ero già a metà strada sull’atlantico smaltendo una sbornia che aveva registrato il grado 7.4 della scala Richter. Ci misi circa una settimana a riprendermi e sono sicuro che i danni sostenuti quella settimana furono strutturali e permanenti.
Ma ne valeva la pena. Per quattro minuti per quattro serate consecutive nella primavera del 1987 sono stato un Pogue."

Steve Earle
Fairview, Tennessee, maggio 2004



Ultimo Arrivato

Sono un Americano, ragazzi, ho fatto un sacco di strada
Nato e cresciuto negli USA
Quindi avvicinatevi e ascoltate, ho qualcosa da dire
Ragazzi, pago questo giro
Ci è voluto un pochino, ma siamo dentro a questa lotta
Non si andrà a casa finché non avremo fatto quel che è giusto
Stanotte berremo fino a prosciugare Camden Town
Anche se dovrò spendere fino all’ultima sterlina
La prima volta che arrivai a Londra pioveva forte
Incontrai una ragazzina a una cucina da campo
Scrissi il suo nome con la vernice sul muso del mio aereo
Ancora sei missioni e ho finito
Le chiesi se potevo stare e mi disse potresti
Poi uscì fuori il guardiano gridando “spegnete le luci”
Morte pioveva dalla notte di Londra
Facemmo l’amore fino all’alba
Ma quando l’ultimo arrivato torna a casa marciando
Col petto colmo di medaglie e un finanziamento per militari
Lo aspetteranno alla stazione laggiù a San Antone
Quando Johnny tornerà marciando

Il mio P-47 è una buona macchina
E si è fatta un giro tornando l’ultima volta che ho attraversato la Manica
Stavo pensando alla mia bambina mentre la lasciavo andare a tutta birra
Mi ha sempre fatto andare avanti finora
E possono spedirmi dovunque in questo immenso mondo
Non ho mai trovato niente come la mia ragazza del North End
La porterò a casa con me un giorno, signore
Non appena vinceremo questa guerra

Ma quando l’ultimo arrivato torna a casa marciando
Col petto colmo di medaglie e un finanziamento per militari
Lo aspetteranno alla stazione laggiù a San Antone
Quando Johnny tornerà marciando

Ora mio nonno cantava questa canzone
Mi raccontava di Londra e di quando iniziò la guerra lampo
Di come sposò la nonna e la riportò a casa
Un eroe per tutta la sua terra

Ora son qui fermo su una pista a San Diego
Due Cuori Porpora e mi muovo un po’ lento
Non c’è nessuno qui, forse nessuno sa
Di un posto chiamato Vietnam

Ma quando l’ultimo arrivato torna a casa marciando
Col petto colmo di medaglie e un finanziamento per militari
Lo aspetteranno alla stazione laggiù a San Antone
Quando Johnny tornerà marciando


giovedì 18 agosto 2016

Strange Boat

Prima di una breve pausa estiva rendo omaggio alla canzone che dona il titolo al blog: la strana barca di cui cantavano The Waterboys su “Fisherman’s Blues”. Una musica semplice e un testo semplice: straordinariamente efficaci.


Stiamo veleggiando su una strana barca
Diretti verso una strana costa
Navighiamo su una strana barca
Diretti verso una strana costa
Portando il carico più strano
Che mai sia stato issato a bordo

Stiamo veleggiando su uno strano mare
Spinti da uno strano vento
Navigando su uno strano mare
Spinti da uno strano vento
Trasportando l’equipaggio più strano
Che mai abbia peccato

Viaggiamo su uno strano carro
Seguendo una strana stella
Arrampicandoci sulla scaletta più strana
Su cui mai ci si potesse arrampicare

Viviamo in un tempo strano
Lavorando per un obbiettivo strano
Viviamo in un tempo strano
Lavorando per un obbiettivo strano
Stiamo tramutando carne e ossa
In anima


mercoledì 10 agosto 2016

Memphis, Tennessee

Chuck Berry viene giustamente ricordato per le sue musiche, i fraseggi di chitarra, le qualità di intrattenitore sul palco. Tutti elementi fondamentali nel creare e definire un genere, il rock and roll, di cui è indiscutibilmente uno dei massimi esponenti, se non il più importante. Ma i suoi testi sono spesso dei piccoli capolavori in cui riesce a raccontare brevemente storie particolari, e non sono da meno rispetto a quelli dei migliori songwriter.

Il testo di questa canzone si sviluppa attraverso una conversazione telefonica nella quale il protagonista del brano chiama il centralino cercando di mettersi in contatto con una certa "Marie" che gli aveva telefonato mentre lui era assente. Nella terza strofa viene rivelato che chi sta effettuando la telefonata sta soffrendo per la ragazza, e dice che sono stati separati perché la mamma non era d'accordo. A questo punto si potrebbe credere che il protagonista con la ragazza abbia una relazione, ostacolata dalla madre di lei. Inaspettatamente, però, alla fine ci viene rivelato che Marie ha solo 6 anni, e che chi parla e racconta la storia è il padre della bambina.



Pronto? Interurbane?, mi passi Memphis Tennessee
Mi aiuti a rintracciare chi ha cercato di contattarmi
Non ha potuto lasciare il suo numero, ma so chi ha chiamato
Perché mio zio ha preso la chiamata e l’ha appuntata sul muro

Mi aiuti, centralino, mi metta in contatto con la mia Marie
è l’unica che potrebbe cercarmi qui da Memphis Tennessee
La sua casa è nella parte sud, su in alto su un crinale
Proprio a mezzo miglio dal Mississippi Bridge

Mi aiuti, signorina, più di questo non so dirle
Solo che mi manca, come mi manca quanto ci divertivamo
Ma ci hanno separati, perché sua mamma non era d’accordo
E ha strappato via la gioia dalla nostra casa in Memphis Tennessee

L’ultima volta che vidi Marie mi stava salutando con la mano
Torna in fretta, dicevano le lacrime scorrendo dall’occhio giù sulla guancia
Marie ha solo sei anni, signorina la prego
Cerchi di mettermi in contatto con lei a Memphis Tennessee

mercoledì 3 agosto 2016

Dying On The Vine

Dying On The Vine è una canzone tratta dall’album “Artificial Intelligence” di John Cale, anche se la versione che preferisco è quella in concerto, registrata sullo scarno “Fragments Of A Rainy Season”. Questa volta una traduzione non rigorosamente letterale, ma che cerca di mantenere la metrica e le rime del testo originale, una specie di cover in italiano, come si usava negli anni sessanta. Ma se allora spesso il senso del testo veniva stravolto (vedi ad esempio l’orrenda “Ragazzo solo, ragazza sola” imbarazzante versione italiana di Space Oddity) qui ho comunque rispettato il più possibile l’originale.




Non la sopporto più questa caccia agli spettri
Vorrei qualcuno che mi desse un perché
Ho posato la mia spada, è tua se vuoi
E ho scritto a casa, non pensate a me

Sono stato giù con te ad Acapulco
Barattando vestiti per del vino ambrato
Con un odore di vecchia ingioiellata, addosso
O di un William Burroughs che inscena il tempo andato

Impossibile dormire, in mezzo al chiacchierio
Troppe feste al sole ma poi quei
Ligi addetti mi han concesso tutti i visti
E se non fossi così vile, scapperei

Vediamoci dove non si spara più
In quel quartiere, dove non ci sono guai
Sì, porta pure gli amici che sai tu
È bello averli intorno, non si sa mai

Lo sai pensavo (anche) a mia madre
Pensavo a ciò che ancora ho
Vivevo come fossi stato un divo
Ma morivo, sul nascere, ora lo so

mercoledì 20 luglio 2016

Marquee Moon

I remember how the darkness doubled. Questo il suggestivo inizio di Marquee Moon, l’epica (oltre dieci minuti di durata nella versione originaria) canzone che fa da fulcro – fin dal titolo – al primo album dei Televison; ovvero a uno degli esordi migliori della storia del Rock. La voce di Verlaine arriva – graffiante proprio come la sua chitarra – soltanto dopo che gli altri strumenti hanno fatto il loro ingresso uno alla volta, per raccontare di una stralunata escursione mentre la tensione dinamica aumenta. Prima del lungo intermezzo strumentale, le stesse scale introducono tre volte il ritornello, che in un crescendo vede il protagonista prima aspettare, poi esitare e da ultimo decidere di porre fine all’attesa.




Io ricordo
Come l’oscurità raddoppiò
Rimembro
Il fulmine colpire sé stesso
Stavo ascoltando
Ascoltando la pioggia
Stavo udendo
Udendo qualcos’altro

La vita nell’alveare increspava la mia notte
Il bacio della morte, l’abbraccio della vita.
Stavo là, sotto alla Luna del tendone, aspettando, semplicemente

Mi rivolsi a un uomo
Giù ai binari
Gli chiesi
Come facesse a non impazzire.
Mi disse: “Guarda qui, giovane, non essere così felice.
E Santo Cielo, non essere così triste”.

La vita nell’alveare increspava la mia notte
Il bacio della morte, l’abbraccio della vita.
Stavo là, sotto alla Luna del tendone
Esitando

Una Cadillac
Sbucò fuori dal cimitero
Inchiodò davanti a me
Tutto ciò che dissero: Sali su

La vita nell’alveare increspava la mia notte
Il bacio della morte, l’abbraccio della vita.
Stavo là, sotto alla Luna del tendone
Non aspetterò

giovedì 14 luglio 2016

Old Men Sleeping On The Bowery

Dall’omonimo album di esordio (1980) di Willie Nile, newyorkese di elezione, rocker carismatico, non premiato da un grande successo, ma con una carriera e una produzione degne di nota.

Un testo fatto di immagini, dove diverse scene si contrappongono, come se chi canta le osservasse dalla propria stanza, per descrivere differenti facce della metropoli: La miseria della Bowery, la ricchezza esibita di una donna che vive nel lusso, e nel mezzo due giovani amanti, dimentichi di tutto quanto li possa circondare, sia benessere o povertà.


Vecchi che dormono sulla Bowery
Vecchi che giacciono per terra
Vecchi che dormono sulla Bowery
Vecchi che giacciono dappertutto
Là fuori seduti tra i rifiuti
All’addiaccio su una pietra
Vecchi che dormono sulla Bowery
Vecchi che giacciono in solitudine

Due giovani amanti sul tetto sopra di me
Giovane amore preso per mano
Due giovani amanti sul tetto sopra di me
Su dove i campi sono  grandiosi
Giovane amore che rotola vicino al comignolo
Ascolta i mormorii del piacere
Due giovani amanti sul tetto sopra di me
Lassù a ridere nella notte

Una giovane signora elegante alla prima
Guida una limousine nera
Una giovane signora elegante alla prima
Vive dove i campi sono verdi
Se ne andrà più tardi a una festa
Studio 54
Una giovane signora elegante alla prima
Giovani uomini aspettano alla porta

Vecchi che dormono sulla Bowery
Vecchi che giacciono per terra
Vecchi che dormono sulla Bowery
Vecchi che giacciono dappertutto
Là fuori seduti tra i rifiuti
All’addiaccio sulla pietra
Vecchi che dormono sulla Bowery
Vecchi che giacciono in solitudine

mercoledì 6 luglio 2016

Who Knows Where The Time Goes

“Who knows where the time goes?” è una canzone scritta da Sandy Denny, portata poi nel repertorio dei Fairport Convention quando la cantante si unì al gruppo, e incisa nell’album “Unhalfbricking” del 1969. Una lenta riflessione sullo scorrere del tempo, e sulla percezione del medesimo.



Attraverso il cielo serotino, tutti gli uccelli sono in partenza
Ma come possono sapere, che è tempo per loro di andare?
Prima del fuoco invernale, continuerò a sognare
Non ho considerazione del tempo

Ché, chi sa dove va il tempo?
Chi sa dove va il tempo?

Triste e deserto litorale, i tuoi volubili amici se ne vanno
Ma del resto tu sai, che per loro è tempo di andare
Ma io continuerò a essere qui, non penso di andarmene
Io non conto il tempo

Ché, chi sa dove va il tempo?
Chi sa dove va il tempo?

E io non sono sola, finché ho il mio amore accanto a me
So che sarà così, fino a che non sarà tempo di andare
Perciò vengano le tempeste invernali, e tornino gli uccelli in primavera
Non ho paura del tempo

Perché, chi sa come cresce il mio amore?
E chi sa dove va il tempo?