venerdì 27 ottobre 2017

Bargain

"Bargain" è una canzone scritta da Pete Townsend pubblicata per la prima volta dagli Who sul loro album del 1971 “Who’s Next”. Una canzone d’amore sebbene il destinatario sia piuttosto Dio che non una persona.



Mi perderei volentieri per trovare te
Darei via volentieri tutto quel che ho
Per trovarti, soffrirei ogni pena e ne sarei felice

Pagherei qualunque prezzo per averti
Lavorerei tutta la vita e lo farò
Per conquistarti starei nudo, lapidato e pugnalato

Lo chiamerei un affare
Il migliore che ho mai fatto
Il migliore che ho mai fatto

Mi perderei volentieri per trovarti
Darei via volentieri tutto ciò che ho
Per afferrarti, correrò senza mai fermarmi

Pagherei qualunque prezzo solo per vincerti
Cederei la mia bella vita per una cattiva
Per trovarti affogherò un uomo misconosciuto

Lo chiamerei un affare
Il migliore che ho mai fatto
Il migliore che ho mai fatto

Siedo guardandomi intorno
Guardo il mio volto allo specchio
So di non valere niente senza di te
E come uno e uno non fa due
Uno e uno fa uno
E sto cercando quella corsa gratuita per me
Sto cercando te

Mi perderei volentieri per trovarti
Darei via volentieri tutto ciò che ho
Per afferrarti, correrò senza mai fermarmi

Pagherei qualunque prezzo solo per vincerti
Cederei la mia bella vita per una cattiva
Per trovarti affogherò un uomo misconosciuto

Lo chiamerei un affare
Il migliore che ho mai fatto

Il migliore che ho mai fatto

mercoledì 18 ottobre 2017

Down All The Days

“Down All The Days” è il titolo di un romanzo di Christy Brown, autore irlandese divenuto famoso per il libro “Il Mio Piede Sinistro”, da cui nel 1989 fu tratto anche un celebre film con Daniel Day Lewis. Nello stesso anno Shane MacGowan scrive per i Pogues una canzone dallo stesso titolo che verrà pubblicata su “Peace And Love”, in omaggio allo scrittore.



Christy Brown, un pagliaccio per la città
Ora è un uomo di fama da Dingle a Down
Batto a macchina con le dita dei piedi
Tiro su stout dal naso
E dove si andrà a finire
Dio solo lo sa

Lungo tutti i giorni
Il tic-tic-ticchettio
Della macchina per scrivere paga
Lo sferragliare gentile
Dei barrocci
Percorrendo I giorni

Spesso mi sono trovato a dipendere
Dalla gentilezza di sconosciuti
Ma nessuno mi ha mai chiesto
E non ho mai risposto
Se tifavo per i Glasgow Rangers

Lungo tutti i giorni
Il tic-tic-ticchettio
Della macchina per scrivere paga
Lo sferragliare gentile
Dei barrocci
Percorrendo I giorni


mercoledì 11 ottobre 2017

Losing My Touch

Secondo Keith Richards, la canzone “parla di un tizio che è in fuga e deve dire addio, e non sa proprio come dirlo”. Brano sicuramente minore dei Rolling Stones, pubblicato come inedito in una raccolta di successi, è però molto rappresentativo dello stile di Richards, che ama molto le ballate dei grandi compositori americani del passato, come Hoagy Carmichael, e ne riprende qui lo spirito, mescolandolo con  l’iconografia del vecchio rocker in fuga. 




Non è strano, come accadono le cose?
Proprio quando pensiamo di aver chiarito tutto
Tutto sembra procedere
Ma invece ce ne stiamo seduti qui ad attendere

Sembra che le cose siano sotto controllo
Sguardi nervosi tutto intorno
Tutti si esprimono sussurrando
Nessuno vuole fare rumore

Sto perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco, perfino troppo
Tirami fuori di qua, dovrebbe essere sicuro

Tieni d’occhio la porta principale, bambina
Io sparirò da quella posteriore
Ho bisogno solo di un poco, un poco di soldi per il taxi
E poi ti lascerò andare a nanna

Perché sto perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco, perfino troppo
Tirami fuori di qua, dovrebbe essere sicuro

Non ci vorrà troppo tempo, bambina
Ma solo quello che serve
Devo raccogliere i miei passaporti
E devo prendere la mia roba

Perché sto perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco
Perdendo il mio tocco, perfino troppo

Bambina, tirami fuori di qua

mercoledì 4 ottobre 2017

Ripple

Come di consueto per le canzoni composte da Garcia, le parole sono di Robert Hunter. Traduco anche un articolo su “The Ripple” scritto da Jim Beviglia per American Songwriter.





Se le mie parole risplendessero con l’oro della luce del sole
E le mie melodie fossero suonate sull’arpa priva di corde
Sentiresti la mia voce arrivare attraverso la musica?
La terresti vicina a te come se fosse la tua?

È un’idea di seconda mano, i pensieri sono spezzati
Forse sarebbe meglio non esprimerli col canto
Non lo so, non mi importa veramente
Lasciamo che siano canzoni a riempire l’aria

Un’increspatura nell’acqua calma
Senza che sia stato tirato un sasso
O che soffi vento

Allunga la tua mano se la tua coppa è vuota
Se la tua coppa è piena possa esserlo ancora
Lascia che si risappia che c’è una fontana
Che non è stata costruita da mano d’uomo

C’è una strada, non una semplice via maestra
Tra l’alba e l’oscurità della notte
E se ci vai potrebbe non seguirti nessuno
Il percorso è soltanto per i tuoi passi

Un’increspatura nell’acqua calma
Senza che sia stato tirato un sasso
O che soffi vento

Tu che scegli di condurre devi seguire
Ma se cadi cadrai da solo
Se dovessi alzarti chi ti guiderà allora?
Se conoscessi la strada ti porterei a casa



Come conseguenza di una meritatissima reputazione come predominante live act della loro epoca, è comprensibile che le registrazioni in studio dei Grateful Dead possano rimanere in qualche modo oscurate. Seguendo la stessa linea di pensiero, l’abilità di scrittura della band, che spesso si riduce alla musica di Jerry Garcia e alle parole di Robert Hunter, non sempre riceve la considerazione che merita.

Eppure, nel 1970, i Dead pubblicarono a pochi mesi di distanza uno dall’altro una coppia di album che sembravano catturare l’irrequietezza di un’intera generazione disancorata dei propri ideali e agirono come un balsamo per lenire tali delusioni. Workingman’s Dead fu seguito rapidamente da American Beauty e da quest’ultimo album provenne “Ripple”, forse la quintessenza sia della delicata magia raggiunta in studio dalla band sia della collaborazione tra Garcia e Hunter.
Quando Rolling Stone chiese a Hunter di nominare un testo di cui fosse particolarmente fiero, rispose: “Let it be known there is a fountain/ That was not made by the hands of men,” un verso da “Ripple.” “Probabilmente il verso preferito tra quelli che io abbia mai scritto, che mi sia mai venuto in mente. E ci credo, sai?”

Versi come quelli erano scritti su misura per Garcia, che poteva esprimere profondità inebrianti come quelle con uno scintillio nella propria voce, mantenendole ancorate al suolo quando avrebbero potuto facilmente fluttuare via nell’etere. Per “Ripple” Garcia costruì una melodia che era pura e umile, venata di una leggera tristezza. Hunter ricorda quando il suo vecchio amico arrivò con la musica da abbinare alle parole: “Eravamo in Canada, in quel viaggio in treno [il Festival Express, 1970]  e una mattina il treno si fermò e Jerry era seduto sui binari non troppo lontano, all’alba, che musicava “Ripple”. Questo è un bel ricordo”.

In studio, la band accarezzò la canzone con la gentilezza di un amante. La chitarra acustica di Garcia è il tenero cuore della canzone, mentre la sezione ritmica di Phil Lesh e Bill Kreutzmann la sospinge dolcemente in avanti. Quando arrivarono a “Ripple” su American Beauty, i Dead avevano perfezionato definitivamente le armonie usate pesantemente su Workingman’s Dead. Le voci di insieme su “Ripple” forniscono conforto quando le parole evocano disagio.

Hunter fornisce versi che evocano saggezza cosmica e serenità senza ignorare l’oscurità ai margini presente anche nelle vite più fortunate. La canzone allude a differenti religioni e filosofie, dalle implicazioni della cristianità nei versi che parlano di coppe piene e riempite, che richiamano il salmo 23, al koan buddista del ritornello. Quest’ultimo addirittura rompe lo schema di rime relativamente convenzionale delle strofe per formare un haiku, un altro esempio in cui l’Oriente incontra l’Occidente nel brano.

La canzone si apre con Garcia che esprime la propria opinione sul potere della musica, o per meglio dire sulla mancanza di esso. Anche se le sue parole risplendessero e fossero maestosamente spinte attraverso l’aria su un’arpa senza corde, non v’è certezza di un loro positivo impatto sull’ascoltatore. Ciò nonostante, per inciso, ammette anche che il mondo è migliore per la presenza della musica: “I don’t know, don’t really care/ Let there be songs to fill the air.”

Nella seconda strofa, si raggiunge una maggiore sobrietà, con il narratore che, dopo avere augurato buone novelle e coppe piene al suo uditorio, grazie alla fontana magica, li avverte di una “strada, non una semplice via maestra, tra l’alba e l’oscurità della notte”. Sul suo cammino il viaggiatore non potrà godere di alcuna compagnia: “quel percorso è soltanto per i tuoi passi.”

Mentre questi misteri irrisolvibili ancora aleggiano, il ritornello irrompe e il mandolino suonato da David Grisman sembra sospendere la canzone a mezz’aria in modo che Garcia possa esprimere l’immaginario incredibilmente bello del ritornello: “Ripple in still water/ When there is no pebble tossed/ Nor wind to blow.” Possiamo considerare quei versi, le loro contraddizioni intrinseche una facile partita per l’abilità necessaria a trasmetterli in musica.

La strofa finale ritorna a toccare una corda infausta, ma l’ultimo verso fornisce un po’ di consolazione. “If I knew the way, I would take you home,” canta Garcia. Che il narratore fornirebbe assistenza se potesse, è tutto il soccorso che può dare al suo compagno, e in qualche modo ciò è sufficiente. In questo mondo difficile, deve essere così.

E se devi percorrere la strada da solo, c’è sempre la musica da portare con sé come compagnia, come sembra suggerire il conclusivo coro del “la-da” finale. I Grateful Dead hanno suonato “Ripple” nei loro spettacoli “Fare Thee Well”, e sebbene il tentativo sia riuscito bene, non avrebbe mai potuto eguagliare la versione originale su American Beauty. Forse perché Jerry Garcia era presente solo in spirito. O forse semplicemente la perfezione raggiunta da “Ripple” in sala di registrazione non poteva essere migliorata, nemmeno dalla live band migliore del mondo.

Jim Beviglia