Di David Dodd, dal sito: www.dead.net
In diverse comunità degli Stati Uniti, quest’anno, intere città e contee stanno partecipando all’evento “Big Read”, e in tali occasioni capita che vengano lette poesie di Emily Dickinson. Qui dove io vivo, Sonoma County, California, il mese di Marzo quest’anno è dedicato proprio a Emily Dickinson.
L’autrice scrisse questi versi nella sua poesia catalogata al numero 478:
(traduzione di Riccardo Duranti)
Ain’t no time to hate. Barely time to wait. And, where does the time go, anyway?
Non ho tempo per odiare. A malapena ho tempo di aspettare. E, in ogni modo, dove va il tempo?
“Uncle John’s Band” è una di quelle composizioni a firma Robert Hunter / Jerry Garcia che comprendono uno spazio sufficientemene grande da considerare l’universo, e le nostre vite nell’universo – o meglio sembra essere un universo essa stessa. Dai versi di apertura, che possono agire sia da avvertimento sia da incoraggiamento, fino al suo gentile invito “vieni con me”, la canzone risuona nelle nostre vite con una certa continuità, se lo vogliamo.
Hunter il cantastorie può anche essere Hunter l’aforista—colui che crea brillanti frasette a doppio taglio che ci aiutano e ci perseguitano mentre attraversiamo le nostre vite barcollando. Come accade in Shakespeare, le sue frasi possono essere facilmente estrapolate dal loro contesto e usate come motti o ammonimenti; rassicurazioni o affermazioni ardite, a seconda delle necessità di un dato momento. Forse avete provato l’esperienza di sentire un verso di Hunter in un modo nuovo, in una forma calzante a quel particolare momento o evento nella vostra vita. A me è successo molte volte – un verso improvvisamente mi salta addosso e mi angoscia, o mi abbraccia, o mi stupisce in un modo nuovo.
“Uncle John’s Band” è uno di quei testi completamente aperti che hanno offerto molte interpretazioni (inclusa una meravigliosamente faceta dello stesso Hunter – qualcosa riguardante formiche da circo ammaestrate, mi pare di ricordare …). Uno dei momenti di maggior fierezza come chiosatore di testi dei Grateful Dead fu quando ricevetti una e-mail da Hunter che mi diceva di come fossi assolutamente nel giusto nella direzione scelta per le mie note ad “Uncle John’s Band.” Fu quando stavo esplorando le possibili origini della canzone nell’opera e nei componenti dei New Lost City Ramblers, la meravigliosa band d’altri tempi di cui facevano parte Mike Seeger, John Cohen, e Tom Paley. “Uncle John” era un soprannome di Cohen, e Hunter e Garcia erano ambedue ammiratori che videro la band suonare diverse volte.
Blair Jackson una volta scrisse qualcosa sull’impressione che “Uncle John’s Band” è la canzone. Ho pensato molto a tale affermazione nel corso degli anni, e penso di sapere che cosa intendeva. Quando i Dead la suonavano, la folla giungeva a una coesione incredibile. Eravamo dentro a quella band: stavamo arrivando per ascoltare la band di Uncle John sulla riva del fiume. Amavamo quando le parole venivano sbagliate, e poi il verso “come è che fa la canzone?” ci balzava addosso. Jerry che rideva dei suoi propri pasticci, tutti che sorridevano sul palco prima di darci dentro e buttarsi in quella stupefacente jam dal suono bulgaro – un improvviso cambio di rotta dalla familiare musica folk al reame incantato e rischioso dei tempi composti e delle scale modali. Tutto ciò che erano i Dead, sembrava, poteva essere avvolto e impacchettato in quella canzone. Bellezza e pericolo, tutto vorticava insieme. E poi, da quella oscura jam vorticosa emergeva il ritornello: “Come hear Uncle John’s Band….”: e di nuovo era tempo di campeggio intorno al fuoco. Mani che battono a tempo, la folla diventa la sezione ritmica. E poi di nuovo verso qualche altra canzone…
Decisamente ballabile, la melodia portava ogni volta l’intera folla a fresche altezze di felicità. Ed è così cantabile!
Non è grande che i corvi raccontino la storia della vita e della morte? (Ci penso ogni volta che vedo un corvo).
E che dire di quelle pareti fatte di palle di cannone? Noi americani ne siamo fieri, o lo disprezziamo?
E dove era quella miniera d’argento? Siete bloccati in una di esse?
In ogni caso non importa: non c’è tempo per odiare. Secondo me, se c’è una sola lezione da tutta la poetica di Hunter, è quella. Egli la approccia da diverse angolazioni, ma per me si arriva sempre a quello. “Se non ce’è amore nel sogno, esso non si avvererà mai”.
Grazie, Emily, e grazie, Hunter.
Ti giri ancora — ci provi. Posso sentire la tua voce …
Bé, i primi giorni sono i più duri
Non preoccuparti più
Quando la vita sembra tutta rose e fiori
C’è un pericolo alla porta
Riflettici su a fondo con me
Fammi sapere che ne pensi
Wo-oh, quel che voglio sapere è
Sei gentile?
È una scelta da danzatore solitario, amico mio
Faresti meglio a seguire il mio consiglio,
A questo punto conosci tutte le regole
E sai distinguere il fuoco dal ghiaccio
Verrai con me?
Non verresti con me?
Oh quel che voglio sapere
È se verrai con me
Maledizione, ora dichiaro
Hai visto una cosa del genere?
I loro muri sono fatti di palle da cannone,
il loro motto è “non calpestarmi”
vieni ad ascoltare la band dello zio John
sulla riva del fiume
Ho alcune cose di cui parlarti
Qui, accanto alla marea che sale
È la stessa storia che mi ha raccontato il corvo
È l’unica che conosce
Arrivi come il sole mattutino
E come il vento te ne vai
Non è tempo di odiare
A mala pena tempo di aspettare
Wo-oh quel che voglio sapere è
Dove va il tempo?
Vivo in una miniera d’argento
E la chiamo “Tomba del Mendicante”
mi sono procurato un violino
E ti prego conduci le danze
La scelta di ognuno
Posso udire la tua voce
Wo-oh quel che voglio sapere è
Come è che fa la canzone?
Vieni e ascolta la band di Uncle John
Sulla riva del fiume
Vieni con me o vai da solo
Egli è venuto per portare a casa i suoi bambini
Vieni e ascolta la band di Uncle John
Che suona alla marea
Vieni anche tu con noi o vai da solo
Egli è venuto per portare a casa i suoi bambini
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