mercoledì 5 dicembre 2018

Tapestry


“Successe praticamente che avevo iniziato un ricamo con l’ago alcuni mesi prima che facessimo l’album e avevo scritto una canzone chiamata Tapestry, senza neanche collegare le due cose nella mente. Pensavo a un altro tipo di arazzo, quello che viene appeso e viene tessuto, e scrissi quella canzone”. Così Carole King a proposito del brano che dà il titolo al suo secondo disco. Mentre la protagonista osserva l’arazzo ripensando alla propria vita, in cui le vicende e gli eventi si sono intrecciati analogamente ai molteplici colori del tessuto, la sua fantasia si perde in storie antiche, fiabesche, per poi ritornare all'arazzo contemplato, il cui disfacimento sembra coincidere con la conclusione dell’esistenza stessa.




La mia vita è stata un arazzo, di tonalità ricca e regale
Una visione imperitura di un panorama in continua evoluzione
Una magia splendidamente intessuta in parti di blu e oro
Un arazzo da sentire e da vedere, impossibile trattenerlo

Una volta, tra argentea e soffice tristezza nel cielo
Giunse un avventuriero, un girovago di passaggio
Indossava un tessuto strappato e lacero intorno alla sua pelle di cuoio
E un cappotto di molti colori, giallo, verde su ogni lato

Si muoveva un poco incerto, come se non sapesse
Il motivo per cui era lì, o dove avrebbe dovuto andare
Una volta allungò il braccio per afferrare qualcosa di dorato, che pendeva da un albero
E la sua mano ridiscese vuota

Presto all’interno del mio arazzo, lungo la strada piena di buche
Sedette su una roccia del fiume e si tramutò in rospo
Sembrava che fosse caduto sotto il malvagio incantesimo di qualcuno
E piansi a vederlo soffrire, sebbene non lo conoscessi bene

Mentre piangevo di dolore, apparve improvvisamente
Una figura, grigia e spettrale, preceduta da una barba fluente
In tempi di profonda oscurità l’ho visto vestito di nero
Ora il mio arazzo si sta disfacendo, ed è venuto a riprendermi
È venuto a riportarmi indietro



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