“Successe praticamente che avevo
iniziato un ricamo con l’ago alcuni mesi prima che facessimo l’album e avevo
scritto una canzone chiamata Tapestry, senza neanche collegare le due cose
nella mente. Pensavo a un altro tipo di arazzo, quello che viene appeso e viene
tessuto, e scrissi quella canzone”. Così Carole King a proposito del brano che
dà il titolo al suo secondo disco. Mentre la protagonista osserva l’arazzo ripensando
alla propria vita, in cui le vicende e gli eventi si sono intrecciati analogamente
ai molteplici colori del tessuto, la sua fantasia si perde in storie antiche, fiabesche,
per poi ritornare all'arazzo contemplato, il cui disfacimento sembra coincidere
con la conclusione dell’esistenza stessa.
La mia vita è stata un arazzo, di tonalità ricca e
regale
Una visione imperitura di un panorama in continua
evoluzione
Una magia splendidamente intessuta in parti di blu
e oro
Un arazzo da sentire e da vedere, impossibile
trattenerlo
Una volta, tra argentea e soffice tristezza nel
cielo
Giunse un avventuriero, un girovago di passaggio
Indossava un tessuto strappato e lacero intorno alla
sua pelle di cuoio
E un cappotto di molti colori, giallo, verde su
ogni lato
Si muoveva un poco incerto, come se non sapesse
Il motivo per cui era lì, o dove avrebbe dovuto
andare
Una volta allungò il braccio per afferrare
qualcosa di dorato, che pendeva da un albero
E la sua mano ridiscese vuota
Presto all’interno del mio arazzo, lungo la strada
piena di buche
Sedette su una roccia del fiume e si tramutò in
rospo
Sembrava che fosse caduto sotto il malvagio
incantesimo di qualcuno
E piansi a vederlo soffrire, sebbene non lo
conoscessi bene
Mentre piangevo di dolore, apparve improvvisamente
Una figura, grigia e spettrale, preceduta da una
barba fluente
In tempi di profonda oscurità l’ho visto vestito
di nero
Ora il mio arazzo si sta disfacendo, ed è venuto a
riprendermi
È venuto a riportarmi indietro
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