Questa settimana traduco un articolo tedesco sui Thin White Rope, in originale sul sito https://gabelheu.de/
Thin White Rope e la poesia del decadimento
Tutto ciò che vive prima o poi non sarà più. La
transitorietà ci avvolge, simile a una veste invisibile, che indossiamo fino a
quando l’ultimo accordo dell’esistenza è risuonato. Difficilmente un’altra band
ha messo in musica questa cognizione in maniera più adeguata di quanto abbiano
fatto i Thin White Rope. Fondati nel 1981 a Davis, California, e denominati
seguendo una descrizione poetica di William S. Burroughs per lo sperma, il
quartetto, i cui unici componenti costanti nel tempo sono stati il cantante e
chitarrista Guy Kyser e il chitarrista Roger Kunkel, diede alla stampa cinque
album in studio: monoliti musicali, creati usando nuova psichedelica,
alt.country e krautrock, che avevano come argomento il Divenire, l’Essere e il
Trascorrere.
I testi di Kyser (qualche volta coautore con altri membri
del gruppo) sono ineguagliati nel mondo musicale: come ammiratore del grande
maestro del neo-Western da vecchio testamento, lo scrittore Cormac McCarthy,
ritrasse personaggi abbandonati alla tempesta dell’esistenza. La canzone “Down
in the Desert”, ad esempio, propulsa spietatamente dallo staccato dei tamburi,
la prima del disco di debutto “Exploring the Axis” del 1985, racconta di un
uomo che dopo anni trascorsi girovagando nel deserto torna nel suo villaggio.
Non è più colui che era una volta: “Karl tornò e lavora e sorride/ ma se guardi
più da vicino c’è ancora qualcosa di impaurito nei suoi occhi”, canta Kyser con
voce evocativa. Karl non rimarrà l’unico personaggio che di fronte a una Natura
schiacciante, immensamente minacciosa, arriva a percepire la nullità della
propria esistenza.
Sul secondo lavoro, pubblicato nel 1987 il deserto diventa
effettivamente suono: le canzoni esercitano già ogni elemento di quello che
anni dopo sarebbe passato alla storia dei fumatori come Stoner Rock. Il pezzo
che più apertamente tratta della morte è “Coming Around”, una sorta di
Hillbilly sferzante sulla rinascita. “Dave vidi il tuo piccolo pugno intorno
alla tetta di una lebbrosa / Gesù camminava affianco a te e non te ne fregava
un cazzo / Andy uccise un animale, lo uccise con le proprie mani / e lo diede
tutto a me perché ero una donna allora” sbraita Kyser, il quale con l’ultimo
verso da per scontata l’assurdità della separazione tra i sessi.
Il filo rosso molto evocato è nei Thin White Rope più che
soltanto una variazione sul tema della morte. Le cognizioni si propagano di
album in album, simili a escrescenze selvaggiamente proliferanti, vengono
indagate e nuovamente accettate. “Whirling Dervish”, uno schiacciante
Bluegrass imbevuto di malinconia dal quarto album “Sack Full of Silver”,
diventa un’ammissione della temporaneità: “Quando la sostanza della nostra vita
insieme diviene troppa / e tu minacci di togliere il turbine del tuo tocco / io
sono solo un pezzo di spazzatura a un miglio di altezza / che si aggrappa alla
sabbia cadente che mi tiene in cielo”. Qui la minacciosità di Down in the
Desert cede a un’accettazione dell‘inevitabilità come componente fissa del
nostro Essere.
Kyser si reca definitivamente nel grembo della morte in “The
Ruby Sea”, il tonante pezzo di apertura dell’omonimo quinto e ultimo lavoro dei
Thin White Rope. Qui l’io narrante è un cadavere annegato, il quale vuole
trovare riposo nel mare. Il suo sforzo viene disturbato da una donna, la quale
dapprima attraverso il fondo trasparente di una nave lo osserva, quindi si
accovaccia nuda davanti a lui: “Ma non sto pensando a quella perdita / ma solo
al fatto della perdita”, ammette Kyser. Non indente rimuginare sul desiderio
fisico, che un tempo era parte del suo essere, ma piuttosto sul dato di fatto
che la perdita è inevitabile – e che anche lo sguardo al grembo, che dona vita,
non porterà alcun cambiamento.
Purtroppo non ci sarebbe stato seguito. 28 anni fa i Thin
White Rope tennero nella città belga di Gent il loro concerto di addio, il
quale di lì a breve uscì come album doppio con il titolo The One Who Got Away ed
è entrato negli annali musicali di chi scrive come più importante e commovente
momento Live della storia. Troppe poche le persone che durante la loro carriera
si accorsero di questa formazione eccezionale. E nel frattempo poco è cambiato.
Il gruppo Facebook di fan dei Thin White Rope arriva appena a 701 membri, tra
cui anche ex componenti del gruppo. Visto con gli occhi di oggi, un motivo
potrebbe essere che Thin White Rope nella loro determinazione – sia per quanto
riguarda il loro sound, sia nei testi – per molti fossero semplicemente troppo
opprimenti.
Sostituirono la striscia argentea all’orizzonte con
un’alluvione apocalittica, che avrebbe dovuto trascinare via ognuno barcollante
nell’eternità. Coloro che furono pronti a lasciarsi trasportare scoprirono la
malinconia, la nostalgia, lo struggimento, la fragilità, che furono sempre
anche parte del loro universo. Un universo che va scoperto in tutta la sua
bellezza putrescente.
Christian Leinweber
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